Fra gli appuntamenti elettorali in agenda nella primavera 2022, la corsa in partenza per il comune di Verona è forse la più significativa, dopo quella in programma a Palermo. Sulla carta non è da meno quella in calendario nella non lontana Padova, il capoluogo più popoloso della Zaia-land veneta: governata negli ultimi cinque anni da un sindaco di centrosinistra. Ma la stampa locale padovana ha già definito “quasi un’amichevole” quella che si profila tra il sindaco uscente Sergio Giordani (molto appoggiato da Carlo Calenda, europarlamentare Pd per il Nordest) e l’imprenditore leghista Ferruccio Peghin, che attende peraltro ancora di sciogliere l’ultima riserva.
A Verona, invece, si annuncia un match vero: e non solo perché il centrosinistra ha schierato in campo Damiano Tommasi, titolare nella nazionale di calcio ai Mondiali 2002, scudettato a fianco di Francesco Totti nella Roma 2001 di Fabio Capello. L’esperienza pubblica – più che politica – di Tommasi è particolare: è stato presidente dell’Associazione nazionale calciatori, succedendo allo storico fondatore Sergio Campana ed è dal 2018 consigliere della Figc. Non è quindi un tesserato di partito, ma di una stanza dei bottoni di primo livello nel Paese a cavallo fra politica e business.
Non sono molti – a oggi – coloro che pronosticano una sua vittoria finale: anche se non manca chi è pronto a scommetterci. Tutti o quasi – invece – sotto gli spalti dell’Arena concordano nel prevedere che le giocate di Tommasi saranno rilevanti nel decidere la conferma o meno di Federico Sboarina, primo cittadino uscente. E il “referendum” su Sboarina si è già conquistato la scena nazionale, allorché Paolo Berizzi – inviato di Repubblica – ha appena fatto uscire per Rizzoli un pamphlet dal titolo inequivocabile: “È gradita la camicia nera. Verona, la città laboratorio dell’estrema destra tra l’Italia e l’Europa”.
È un libro-denuncia sulla “Verona di Sboarina”: eletto a sorpresa nel 2017, come indipendente alla guida del centrodestra. Oggi invece Sboarina indossa la maglia di Fratelli d’Italia. Gliel’ha solennemente consegnata pochi mesi fa Giorgia Meloni in persona, in una cerimonia davanti a San Zeno, antico cuore identitario religioso della città. E quello che oggi è il quasi solitario sindaco-simbolo di Fdi nel Nord ha indubitabilmente maturato la sua prima esperienza politica nel mondo della destra giovanile: a Verona storicamente forte e articolata, fra l’altro interconnessa con la tifoseria dell’Hellas, nel mirino dei media per turbolenze urbane assortite e controversi episodi di razzismo.
Quattro anni fa l’avvocato – nipote di un sindaco democristiano negli anni ’80 – ha messo fuori gioco al primo turno la candidata del Pd Orietta Salemi e quindi battuto al ballottaggio Patrizia Bisinella: compagna (oggi moglie) di Flavio Tosi, potentissimo sindaco scaligero nei dieci anni precedenti e a lungo astro nascente della Lega post-bossiana.
Allora Bisinella era senatrice di “Fare”, piccola formazione scissionista “tosiana”, per qualche tempo in “pour parler” con Matteo Renzi (altro “giovane sindaco” con dirette ambizioni nazionali, a differenza di Tosi realizzate). Confluita in Noi per l’Italia, Bisinella non è stata rieletta nel 2018. Tosi aveva già rotto in precedenza con la Lega. Dopo una larga affermazione come candidato leghista alla europee del 2014, l’anno dopo il sindaco di Verona aveva posto la sua candidatura per la Regione Veneto, in diretta competizione col governatore leghista in carica Luca Zaia, a caccia della sua prima riconferma. La Lega, già guidata da Matteo Salvini, appoggiò Zaia ed espulse Tosi: il quale corse da solo per la Regione, arrivando quarto con poco più dell’11%.
Un mese fa Tosi ha preannuciato la sua ricandidatura a sindaco scaligero. È parso stemperare lo scontro del passato con Salvini: che nel frattempo aveva espresso un endorsement di principio per uno Sboarina-bis. Ma la situazione politica nazionale è in piena evoluzione e il gioco degli specchi con il “laboratorio Verona” è tutt’altro che banale.
Da un lato, i sommovimenti nel centrodestra continuano a essere forti, come sembra del resto confermare la continua necessità di “foto di famiglia” fra Salvini, Meloni e Berlusconi. E quando Tosi tende la mano a Salvini certamente ammicca alla (presunta) dialettica emergente all’interno della Lega fra i fedelissimi del leader e i cosiddetti “governatori governativi”: fra i quali Zaia è più che “primus iter pares”. La Lega “zaiana” – d’altronde – a Verona città (e provincia) non è la macchina da guerra che, soprattutto nel Veneto orientale, ha regalato l’anno scorso al 77% un terzo mandato al “Doge”, originario di Treviso. La distanza fra Venezia e Verona (città vicina di casa della Lombardia e crocevia industriale e logistico delle rotte fra Italia e Nord Europa) non si è mai attenuata.
Non certo ultimi sono gli ingredienti più squisitamente politici del “laboratorio”. Tosi è diventato “super-sindaco” a Verona interpretando “spirits” socioeconomici propri di una lunga tradizione di moderatismo, tradizionalmente rappresentati dalla Dc (perfino nella Seconda Repubblica, con Paolo Zanotto eletto dalla Margherita). Quando Forza Italia debutta nel 1994 con una schiacciante vittoria nazionale, Verona comunque consegna subito le chiavi di un doppio mandato alla berlusconiana Michela Sironi. È questo filo che Tosi vorrebbe riannodare: verosimilmente puntando a prendere il posto della moglie al ballottaggio 2022, raccogliendo però stavolta lui i voti “dispersi” del Pd, che quattro anni fa premiarono invece la “novità Sboarina”.
Nel settore sinistro dei nastri di partenza si è però presentato “capitan Tommasi”: veronese di Negrar, forse il miglior prodotto di sempre della “cantera” Hellas, per i cui colori ha esordito assieme a Filippo Inzaghi e Gianluca Pessotto. Volto nuovo e di ottima immagine personale quello dell’ex calciatore: certamente fuori – con tutti i pro e i contro – dai circuiti di potere politico-economico di una città storicamente gelosa di quanto accade entro le proprie mura. Nel frattempo Sboarina è divenuto da tempo bersaglio dedicato della stampa nazionale (esemplare il rifiuto della cittadinanza onoraria veronese da parte della senatrice Liliana Segre, dopo che il Comune aveva votato l’intitolazione di una via all’ex leader neofascista Giorgio Almirante).
L’unico dato certo è che la campagna elettorale per palazzo Barbieri – ancora prima dell’esito – sarà un test non solo locale: per gli equilibri all’interno del centrodestra e della stessa Lega; per le reali prospettive del Pd di Enrico Letta, appena rinfrancato dalle municipali dei grandi capoluoghi; non da ultimo, per gli ennesimi tentativi di costruire una formazione di centro, nel triangolo fra Forza Italia, Italia Viva e Azione.
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