Ha conquistato spazio mediatico relativo la notizia che il Tar del Lazio ha accolto un ricorso del Sindacato Medici Italiani contro l’obbligo dei medici di base di prestare assistenza domiciliare ai malati di Covid.

La questione ha una forte rilevanza sostanziale: sul Sussidiario di ieri il presidente dell’Enpam, Alberto Oliveti, ha denunciato l’assenza di un protocollo Covid nazionale per la medicina di base. Il Tar del Lazio, in estrema sintesi ha riconosciuto che le esigenze eccezionali e prolungate poste dalla pandemia non possono caricare i medici di base fino all’assistenza domiciliare, che necessita invece di dotazioni e competenze specifiche e non può sottrarre tempo ed energie alle funzioni ordinarie delle strutture territoriali. La cura dei malati Covid a casa – secondo i magistrati amministrativi romani – è invece compito delle Usca: le Unità speciali che le Regioni sono state incaricate di creare da un decreto-legge di inizio marzo (l’ultimo varato dal governo Conte all’inizio dell’emergenza, prima della raffica di Dpcm).



La Regione Lazio ha annunciato ricorso al Consiglio di Stato contro la pronuncia del Tar: sostenendo che il recente Accordo collettivo nazionale prevede invece un coinvolgimento dei medici di medicina generale in nuove funzioni nel contrasto all’epidemia. In concreto la Regione guidata dal leader Pd, Nicola Zingaretti, ammette che garantire assistenza domiciliare a 60mila residenti attualmente isolati a casa è fuori dalla portata delle Usca istituite in Lazio.



Com’era prevedibile, sembra andare in escalation il confronto sulle strutture sanitarie territoriali nella laboriosa apertura del cantiere di riforma del servizio nazionale dopo la tempesta Covid. E se un angolo del dossier porta a macro-temi come l’utilizzo del Mes europeo per creare le risorse finanziarie necessarie, un altro confina immediatamente con la frattura istituzionale fra Stato e Regioni. “Un conflitto più politico che istituzionale”, ha sottolineato il costituzionalista Sabino Cassese, intervenuto l’altra sera a Inside, il forum digitale del Sussidiario. E il caso Lazio sembra giungere ad horas per suggerire nuove riflessioni sul tema.



Che il Tar del Lazio dia torto a una Regione non è infrequente, ma normalmente è a vantaggio di una delle tante amministrazioni centrali (statali o indipendenti). Di esse – nei fatti – i magistrati amministrativi laziali appaiono spesso i pretoriani contro ogni incursione esterna, pubblica o privata, nella sterminata burocrazia capitolina. Questa volta, invece, il Tar laziale ha dato ragione a un sindacato di medici, fra l’altro autonomo e non maggioritario. E ha bocciato, con una singola pronuncia, l’impegno amministrativo del leader del Pd nella sua regione e l’efficacia – a nove mesi di distanza – del modello di assistenza domiciliare disegnato dal governo M5s-Pd-Leu-Iv due settimane dopo lo scoppio dell’epidemia nel Paese.

Questi sono i fatti. Oltre si entra certamente nel campo delle interpretazioni politiche di un momento di vita istituzionale, di natura giudiziaria. Ma è appunto un osservatore autorevolissimo come Cassese a invitare tutti (politici nazionali e locali, di maggioranza o d’opposizione; magistrati e anche giornalisti) a uscire da tutti gli equivoci di una gestione emergenziale infinita: con danni crescenti per il Paese e pericoli per la sua tenuta democratica. In una democrazia funzionante non dovrebbe essere il Tar del Lazio – su richiesta di un sindacato di medici – a dire sia alle Regioni sia al governo in carica che sono sempre meno all’altezza della crisi drammatica del Paese. E non sarebbe compito di un magistrato amministrativo inviare al leader nazionale di uno dei due grandi partiti di maggioranza un richiamo che – pur restando formalmente in ambito giudiziario – nei fatti è politico.

Se comunque – osservato dall’altra parte – perfino il Tar del Lazio striglia il governatore del Lazio, leader del partito cui appartiene anche il Presidente della Repubblica, è lecito ipotizzare che il sistema-Paese cominci a essere davvero stanco della situazione, lanciando ogni segnale possibile. E si può arguire quanto siano numerosi, in Italia, quelli che sottoscriverebbero il passaggio-chiave del discorso inaugurale del presidente americano Ronald Reagan, quarant’anni fa: “In this present crisis, government is not the solution to our problem; government is the problem”.