Il siciliano Nello Musumeci e il campano Vincenzo De Luca sono entrambi governatori di grandi regioni del Sud. Il primo – politicamente nato in An – è oggi alla testa a Palermo di una giunta di centrodestra. Il secondo è un importante esponente nazionale del Pd e pilota a Napoli un’amministrazione di centrosinistra. Quest’ultimo – a differenza del primo – fra tre domeniche si presenta per la riconferma al vaglio degli elettori della sue regione.
Musumeci, negli ultimi giorni, è stato sulla ribalta politico-mediatica per l’ordinanza con cui ha disposto il blocco degli sbarchi di migranti dall’Africa sulle coste siciliane e lo sgombero dell’hotspot di Lampedusa, largamente sovraffollato. Il provvedimento è stato motivato con il presunto rischio sanitario pubblico portato da migranti, ad avviso della Regione insufficientemente monitorati dai ministeri dell’Interno e della Salute sul fronte Covid e quindi non sottoposti con certezza ai protocolli di sicurezza previsti dal governo per tutti coloro che risiedono nel Paese o vi accedono da altri Stati.
Dopo tre giorni di esitazioni, l’esecutivo ha impugnato l’ordinanza presso il Tar della Sicilia, peraltro con modalità di non piena trasparenza sul piano istituzionale. Il Tar si è espresso a tempo di record, giovedì scorso, sospendendo l’ordinanza di Musumeci. Del tutto inusualmente, una pronuncia di primo grado “in corsa” è comunque entrata nel merito del conflitto di competenze fra ministero degli Interni (ordine pubblico e migranti) e Regione (sanità). Nei fatti lo Stato ha dovuto sollecitare – ottenendolo a tamburo battente – un intervento del potere giudiziario per poter esercitare il proprio potere esecutivo centrale: in base alla dichiarazione di una (opinabile) prevalenza su quello della Regione Sicilia su un terreno in comune con una competenza regionale costituzionalmente riservata. La magistratura – in crisi di credibilità senza precedenti per il “caso Palamara” – sta intanto attendendo che il governo finalizzi un progetto di riforma del Csm. E su questo sfondo la vicenda Musumeci si è dipanata – come frequentemente accade di recente – all’oscuro del Parlamento, detentore del potere legislativo che la Carta pone al centro della sovranità democratica.
De Luca, nelle ultime ore, ha attirato su di sé i fari mediatici per aver assunto la leadership di fatto di un gruppo di regioni contrarie alla riapertura delle scuole lunedì 14 settembre. La data è stata annunciata venerdì dal ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina (M5s, siciliana), membro di un governo sostenuto da una maggioranza M5s-Pd-Leu-Iv. L’esecutivo Conte – ma in particolare il leader Pd, Zingaretti – ha sempre posto la regolare riapertura delle scuole come impegno prioritario, garantendo il massimo sforzo amministrativo per rispondere a una domanda-Paese di servizio pubblico sul fronte dell’education e su quello del sostegno alle famiglie.
Secondo il Corriere della Sera, le Regioni orientate a posticipare a giovedì 24 settembre (almeno) l’inizio del nuovo anno scolastico sono cinque, tutte al Sud. Alla Campania si affiancherebbe la Puglia, altra grande regione retta dal centrosinistra chiamata voto il 20-21 settembre. Quindi Calabria, Basilicata, Abruzzo: tutte rette da giunte di centrodestra ma non sotto rinnovo. In bilico resterebbe la Sardegna. L’isola – amministrata da una maggioranza composita di Partito Sardo d’Azione e centrodestra – ha per ora fissato il ritorno in aula lunedì 22, ma appare sempre di più la frontiera della seconda ondata Covid. Tutte le altre regioni italiane (dall’intero Centro-Nord al Lazio alla Sicilia) hanno per ora confermato l’adesione alla linea-guida del governo. Il quale – dal canto suo – sembra diventato improvvisamente “afono” (copyright Repubblica) di fronte a una nuova “ribellione” di governatori regionali. Anzi: si è chiuso in un silenzio meditabondo, mentre il ministro della Salute – il lucano Roberto Speranza – si è già lasciato scappare che non vedrebbe nulla di scandaloso in una riapertura scolastica differenziata, gestita in autonomia dalle regioni.
La questione può sembrare di lana caprina – “da costituzionalisti” – ma sembra facile negare tutti gli scottanti profili di governo del Paese: sostanziali (i più importanti) o più squisitamente politici (non molto meno importanti in questa fase di “democrazia difficile”).
Se la seconda ondata Covid è un rischio reale, non ha torto De Luca a chiedere una fase di attesa sulla riapertura della scuole: eventualmente anche più in là del 24 settembre. Ma allora perché Azzolina ha fatto crepitare i media sulla riapertura il 14 “senza se e senza ma”? Qualche dubbio che si sta ponendo lo stesso presidente francese Emmanuel Macron. Appare invece – ancora una volta – diversa la gestione della crisi in Germania: dove la cancelliera tedesca Angela Merkel può invece contare su una maggior solidità e maturità delle istituzioni e della società; alcune scuole di Berlino sono state immediatamente chiuse per casi di contagio, ma non per questo il paese è nel panico, né è a rischio né la credibilità personale della premier o la tenuta politica della coalizione di governo. Se le circostanze reali suggerissero comunque un rinvio, un governo credibile avrebbe il diritto-dovere di deciderlo, anche in Italia: eventualmente anche per le consultazioni elettorali in programma. In questo caso sarebbe tuttavia legittimo porre alcune domande: perché, anzitutto il voto non si è tenuto in luglio, quando era facilmente prevedibile un relativo ritorno alla normalità post-lockdown? Ma non mancherebbero domande più sostanziali: quanto la riapertura ritardata sarebbe dovuta a errori politico-amministrativi nel gestire la ripresa estiva della vita economica e sociale? E quanto peserebbe la lentezza con cui il sistema-scuola (i segnali sono numerosi e preoccupanti) ha preparato la riapertura di settembre?
La credibilità del Conte 2 è tuttavia misurata dalla richiesta affannosa a un’oscura magistratura di secondo livello perché affermasse che l’emergenza sanitaria dichiarata da un governatore regionale del Sud è una fake news politicamente strumentale. Il fronte scolastico sembra invece mettere a nudo una realtà speculare. È il governo giallorosso – sostenuto da una maggioranza “meridionalista” Pd-M5s – a manovrare con molta evidenza le leve della “fase 3” dell’emergenza Covid in funzione dell’esito politico del voto in Campania e Puglia.
È così che la stessa maggioranza di governo “responsabile” e “centralista” contro Musumeci, diventa nell’arco di una notte “allarmista” e “regionalista” a macchia di leopardo, in appoggio selettivo ai suoi governatori al Sud, De Luca e Michele Emiliano. Chiaramente preoccupati che un ritorno a scuola al buio si trasformi in un incubo con prevedibili impatti sul voto del fine settimana. L’incubo può dunque turbare il voto in Veneto (a meno che Luca Zaia chieda anche lui il rinvio…), ma non deve turbare quello decisivo in Campania e Puglia.
È così che ad attenersi senza discutere alle direttive del governo continuano ad essere le regioni del Nord, largamente governate dall’opposizione: com’è stato del resto anche in febbraio e marzo, sia sul monitoraggio dei rientri dalla Cina, sia sulla cruciale decisione di chiudere la provincia di Bergamo. È così che lo stesso governo trascina subito davanti al Tar la Sicilia di centrodestra come “ribelle” contro il Viminale su Covid e migranti e sembra invece chiudere gli occhi davanti a Campania e Puglia “giallorosse” che si ribellano al Miur su Covid e scuola. È così che – come è sempre più chiaro sia avvenuto nella prima settimana di marzo – il governo del Paese non sembra minimamente preoccupato degli interessi del Paese; ma pare invece pronto a subordinarli a quelli politici e personali di leader e forze e politiche, a costo di mettere a repentaglio la salute di milioni di cittadini. È così che la democrazia costituzionale con “controlli e contrappesi” si sta trasformando in una pericolosa miscela di monocrazia e anarchia a rischio di arbitrio e di disgregazione del Paese. È così, non da ultimo, che i media che danno amplissimo risalto scandalistico al “caso Briatore” – fors’anche come imputazione preventiva e pretestuosa per nuovi possibili lockdown – siano gli stessi che sette mesi fa davano la stessa visibilità solidale alla campagna #Milanononsiferma, poi costata un pericoloso contagio allo stesso leader Pd.
Salute e istruzione sono i due “beni pubblici” per eccellenza, destinatari di pari tutela espressa da parte della Costituzione. In tutte le regioni. Con un solo peso e una sola misura.