A cavallo di Ferragosto un’audizione parlamentare del Procuratore capo di Milano, Marcello Viola, si è conquistata qualche spazio sui grandi media: gli stessi sui quali i predecessori Francesco Saverio Borrelli, Edmondo Bruti Liberati e Francesco Greco hanno avuto per decenni  tribuna da protagonisti fissi, quando non unici. Invece quella di Viola davanti alla Commissione Antimafia è stata quasi la prima uscita, a 16 mesi dalla sua designazione da parte del Csm. Ed è parsa significativa quasi più nella postura istituzionale che nel contenuto, pur rilevante.



Viola, accompagnato da sua “aggiunta” Alessandra Dolci, capo della Dda milanese, non ha avuto esitazioni nell’individuare la vera emergenza investigativa e di legalità nella “colonizzazione” (sic) della Lombardia da parte della criminalità organizzata in tutte le sue articolazioni. Il cittadino la incontra sempre più frequentemente – senza avvedersene – in curva allo stadio e quando getta i rifiuti nei bidoni di casa. Oppure quando sosta in un grande parcheggio. Per non parlare ovviamente   delle attività di spaccio e usura: che utilizzano da tempo canali totalmente integrati nell’economia “bianca”, con la collaborazione di “colletti bianchi” più o meno “catturati” dalla malavita  nel mondo delle professioni e della finanza.



Non c’è dubbio che l’antimafia sia sempre stata in cima all’agenda della Procura milanese e anche nei suoi bilanci annuali. Però – in occasione della recente scomparsa di Silvio Berlusconi – non è mancato chi ha ricordato il “caso Ruby”. Cioè quando – era il maggio 2010 – il Procuratore aggiunto antimafia di Milano, Ilda Boccassini, prese a occuparsi prioritariamente di quell’ennesimo “caso Berlusconi” e dei suoi interminabili processi. E sono stati questi ultimi a occupare le pagine di cronaca: a fianco degli interventi a raffica di alti magistrati in carica o a riposo, immancabilmente rivolti contro ogni riforma che Governi e Parlamenti volevano varare. E tutto questo è continuato fino a quando la scelta del procuratore capo di Roma ha fatto scoppiare la “questione giudiziaria” in tutta la sua gravità.



Al Csm, quattro anni fa, aveva presentato i suoi titoli anche Viola, allora procuratore capo di Firenze: ma era stato bocciato dalla lottizzazione correntizia della magistratura italiana. Che però proprio su quel dossier superò il limite e fece deflagrare il “caso Palamara”, costringendo lo stesso capo dello Stato a sollecitare un cambio di passo e di direzione a tutti i magistrati italiani.

Viola non è infine approdato a Roma, dove però è stato nominato l’ex capo della Procura di Palermo, Francesco Lo Voi, lui pure danneggiato in precedenza. Viola è stato invece dirottato su Milano, dove gli strascichi polemici del processo Eni avevano posto la stessa magistratura ambrosiana sotto indagine giudiziaria e disciplinare.  E il nuovo Procuratore – che parla poco o mai, solo nelle sedi istituzionali, per discutere il  lavoro quotidiano suo e dei colleghi in difesa della legalità “reale” sui territori –  ha probabilmente già raggiunto lo specifico obiettivo istituzionale che – attraverso il Csm – gli era stato fissato direttamente dal Quirinale.

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