Caro direttore,
l’ex procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, si è lanciato ieri in un duro attacco preventivo contro la prospettiva di una commissione parlamentare d’inchiesta sullo stato della giustizia in Italia. Le argomentazioni della “stroncatura” – stese come cavalli di Frisia attorno al “terzo potere dello Stato” – sono tutte in punta di diritto: o, forse più propriamente, presentano un inequivocabile approccio “avvocatesco”, nel gergo ironico degli stessi magistrati.



Fermo restando che “il primo potere può legittimamente indagare sul terzo”, Bruti Liberati invita tuttavia a verificare con attenzione “qual è il compito di una Commissione che, come ancora detta l’articolo 82 Costituzione, per il fatto di procedere ‘alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria’ deve avere oggetto ben definito. È stato detto che ‘il Parlamento può fare tutto, tranne che trasformare una donna in uomo e un uomo in una donna’. Ma una Commissione d’inchiesta è, appunto, una commissione di ‘inchiesta’. Non è un dibattito parlamentare, non è una analisi sociologica o politologica, non è un seminario di studi”. Quindi: “Quella proposta con atto Camera numero 2565, prima firmataria onorevole Gelmini, è tutto tranne che una ‘commissione d’inchiesta’: lo tradisce già il titolo che ne fissa l’oggetto ‘sull’uso politico della giustizia’. E se non bastasse, basta leggere i compiti attribuiti all’articolo 1: ‘Lo stato dei rapporti tra le forze politiche e la magistratura’ (lettera a) nonché ‘lo stato dei rapporti fra la magistratura e i media’ (lettera b). Temi oggetto in Italia, in Europa e nel mondo di una letteratura sterminata, e bene potrebbero essere oggetto di tesi di dottorato, ove brillanti ricercatori apportino nuovi approfondimenti su temi mai sufficientemente arati. Ma una commissione d’inchiesta è altra cosa”.



Senza spingersi ai limiti toccati dall’ex collega Antonio Ingroia sul diritto-dovere della magistratura di “correggere gli errori della democrazia”, Bruti Liberati sembra comunque confermare il principio (politico) della sostanziale intoccabilità istituzionale della magistratura. E questo – evidentemente – anche se nelle stesse ore in cui l’intervista è uscita, un Gip di Bari è stato arrestato con l’accusa di aver venduto sentenze penali agli avvocati difensori: caso di “mala giustizia” ormai tutt’altro che isolato nelle cronache.

Bruti, ancora, ha parlato ventiquattr’ore dopo la notizia che il presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi (ex ministro nel governo Monti, ex sottosegretario alla Presidenza nel governo Letta) è indagato per “induzione indebita”: in un caso riguardante l’avvocato Piero Amara, controverso testimone d’accusa nel processo Eni recentemente conclusosi a Milano con l’assoluzione dei vertici del gruppo dalle accuse di corruzione internazionale. E il “caso Patroni Griffi” confina direttamente con il “caso Palamara”: cioè con il centro di gravità della crisi corrente dell’ordine giudiziario e del confronto politico sull’urgenza di una riforma del Csm.



L’aspetto più singolare dell’uscita allo scoperto di Bruti Liberati appare però certamente l’assenza totale di riferimenti al “caso Grillo”: quello che ha visto il leader del partito di maggioranza relativa in Parlamento attaccare con accenti finora sconosciuti in Italia un’inchiesta penale in corso (per violenza sessuale, sul figlio). E il caso ha visto un sottosegretario alla Giustizia, Anna Macina (M5s), prendere pubblicamente le difese del suo leader nei suoi attacchi ai Pm. Eppure tutto questo – che occupa in questi giorni anche le pagine del quotidiano a cui Bruti Liberati ha rilasciato la sua intervista – per l’ex procuratore capo ambrosiano sembra non esistere: il nemico è la ministra (FI) degli Affari regionali, Mariastella Gelmini. Il Nemico resta Silvio Berlusconi: a lui, in trent’anni e ancora in questi giorni, è sempre stato vietato criticare la magistratura su inchieste e processi che lo riguardavano, salvo vedersi subito bersagliato di comunicati di Anm, Csm e correnti varie del “sistema”. Che invece sul caso Grillo sono tutti rimasti in silenzio. Anzi no: ha parlato il capo emerito della Procura di Milano.

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