Voto di scambio politico-mafioso a Reggio Calabria. Questo è quanto ipotizza l’operazione “Ducale” della Procura distrettuale antimafia della Città dello Stretto che, nel martedì post-elettorale ha portato all’esecuzione di 14 misure cautelari da parte del Ros dei Carabinieri.
Un’operazione che, almeno questa volta, avviene ad urne chiuse e quindi esente dalle accuse di condizionare l’andamento del voto e i risultati elettorali. Nell’operazione è solo indagato il sindaco Giuseppe Falcomatà, rientrato in carica dopo un lungo periodo di sospensione (ai sensi della legge Severino) perché coinvolto in una precedente inchiesta e relativo processo da cui è uscito indenne.
La benemerita, monitorando la campagna elettorale del 2020 per il rinnovo del consiglio comunale, ha cercato di dimostrare che il candidato Giuseppe Francesco Sera, per il quale il Gip Vincenzo Quaranta ha rigettato la custodia cautelare in carcere richiesta dalla procura distrettuale, “candidato alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Reggio Calabria del 2020 nel raggruppamento di liste in appoggio all’elezione a sindaco di Giuseppe Falcomatà, che risulta indagato per voto di scambio politico-mafioso, “aveva accettato la promessa di procurare voti in suo favore da parte di soggetti appartenenti alla ’ndrangheta e, più precisamente, alla cosca Araniti”, autorizzati dal capocosca Domenico Araniti, 72 anni, detto il Duca”.
Secondo gli inquirenti, Sera si sarebbe accordato con il capocosca Domenico Araniti recandosi presso la sua abitazione il 6 settembre 2020, nonché con Daniel Barillà, finito ai domiciliari, “rappresentante politico e intermediario per conto della cosca Araniti, su mandato e con la supervisione del capocosca e con l’ausilio di Paolo Pietro Catalano (indagato), hanno attuato la promessa di raccolta voti in cambio dell’erogazione e della promessa di varie utilità, tra le quali, la promessa di inserire Antonino Araniti, figlio di Domenico, nella struttura politica comunale del Partito democratico, con il contestuale impegno a spostarlo dall’Ufficio comunale cui apparteneva, cercando di evitargli le sanzioni disciplinari derivanti dalla sua condotta negligente nello svolgimento dei compiti connessi al suo rapporto lavorativo (sanzione tuttavia comminatagli, con licenziamento disciplinare)”.
“Danielino, che vogliamo fare?” “Ci dobbiamo vedere sindaco, dobbiamo vincere che dobbiamo fare?”. Nell’ottobre 2020 a Reggio Calabria c’è il ballottaggio per le comunali. “Io voto Falcomatà perché se sale Falcomatà sale un amico mio: Peppe Sera, che fa l’assessore all’urbanistica”. Il 26 gennaio dello stesso anno, si era votato per le regionali. “Peppe questa sera, io ho varie opzioni con te su Gallico… potrei scegliere se farmi baciare il culo da te da qui per altri cinque anni…”. A parlare è sempre Daniel Barillà, il genero di Domenico Araniti detto il “Duca”, indicato dalla Dda come il boss di Sambatello.
Per i pm, “Danielino” dirige la “strategia dei brogli elettorali per conto della ’ndrina”. Una strategia che passava dalla “scelta di più candidati da appoggiare” per “puntare sul cavallo vincente”. Tradotto: se alle comunali la scommessa facile era il Pd, alle regionali il cavallo favorito di Barillà era Giuseppe Neri di Fratelli d’Italia. Per lui e per il consigliere comunale Pd Giuseppe Sera, la Procura ha chiesto l’arresto per scambio di voto politico-mafioso. È lo stesso reato contestato al sindaco Giuseppe Falcomatà. Il gip Vincenzo Quaranta non ha però accolto le richieste di arresto verso Neri e Sera. Per i due esponenti politici, la Dda di Reggio aveva chiesto l’arresto, ma il Gip non ha accolto la richiesta. Nessuna richiesta, invece, era stata fatta per Falcomatà.
“Una sovrapposizione tra cultura sociale, espressione di una parte della società civile, presente sui territori che controlla la cosca, e cultura mafiosa ’ndranghetistica che non fa intravedere speranze per la liberazione del locale territorio dal distruttivo e devastante potere ’ndranghetistico”. Un potere a tutto campo, quello della cosca Araniti attiva a Reggio Calabria, capace di influenzare e indirizzare anche le scelte politiche e i voti. Un dato che “non lascia sperare che il territorio possa liberarsi dal controllo mafioso, fino a quando tale potere troverà una cultura sociale, substrato sociale, che di fatto finisce per legittimarlo”.
È il quadro tracciato dal gip Vincenzo Quaranta nell’ordinanza dell’inchiesta “Ducale” della Dda di Reggio Calabria. Daniel Barillà, “corteggiato” perché “capace di movimentare consensi elettorali”. “Presenziava ai summit e alle riunioni operative del sodalizio; manteneva i rapporti con i rappresentanti delle istituzioni e della politica; raccoglieva voti in occasione delle consultazioni elettorali in favore dei candidati sostenuti dal sodalizio, stringendo patti elettorali politico-mafiosi; agevolava l’infiltrazione della cosca nel tessuto socio economico ed istituzionale del territorio di riferimento; portava ambasciate e veicolava informazioni tra i sodali; forniva suggerimenti agli “accoscati” (neologismo degli inquirenti) per eludere i controlli delle forze dell’ordine”.
Queste le accuse della Dda contro Daniel Barillà, descritto come “longa manus” del suocero Domenico Araniti. Figura politica di lungo corso, “un politico navigato, un abile stratega e capace di fare determinati giochi politici”, Barillà è ben inserito nel contesto politico territoriale, con “una capillare rete di rapporti e legami, come emerge già dagli atti di indagine del procedimento “Mammasantissima” ed in particolare dalle vicende che caratterizzarono i tesseramenti al circolo del Partito Democratico “Gallico-Sambatello”, ma Barillà, secondo l’accusa, è anche “un politico fortemente ‘corteggiato’ da più parti, da più schieramenti politici, perché capace di movimentare un apprezzabile numero di consensi elettorali nella Provincia di Reggio Calabria e non solo nei territori che controlla la famiglia di ’ndrangheta, ossia Domenico Araniti (le vicende relative alle regionali 2020 e 2021 e comunali reggine 2020 ne sono la piena riprova)”.
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