Le polemiche politiche sul caso Amadeus in Rai – più rilevante del posticcio caso Scurati, pre voto in Basilicata e 25 Aprile – appaiono ancora più dibattibili quando vengono guardate con le lenti dell’economia di mercato.

Primo equivoco: il Pd è parso denunciare il Governo di centrodestra per aver “cacciato” dalla Rai il presentatore, mentre nei fatti è stato quest’ultimo ad accettare un’offerta da WB Discovery. Un’accusa più puntuale alla tv di Stato sarebbe quella di non aver fatto nulla per trattenerlo. Ma è su questo passaggio che la campagna “dem” (nuova puntata dopo quella riguardante Fabio Fazio) mostra altre ambiguità.



Anzitutto: in un mercato professionale (si tratti dei Ceo delle multinazionali, dei top player del calcio o dei direttori creativi del fashion), un’azienda si tutela dal rischio che un suo “cavallo” possa saltare alla concorrenza. Se c’è un’accusa che si potrebbe muovere alla Rai (che conferma effettivamente la natura ibrida di azienda-ente pubblico) è quindi quella di non aver posto ad Amadeus – o a Fazio o a chiunque altro – clausole contrattuali che disciplinassero in anticipo l’eventualità di un’offerta concorrente. Ma il non averlo fatto è larga responsabilità del centrosinistra, egemone su viale Mazzini certamente nei dieci anni precedenti l’ultima vittoria elettorale del centrodestra.



Fra politica spiccia ed economia da manuale stiamo parlando della “Rai degli appalti”: dei format prodotti da società esterne e intermediati con la tv di Stato da un oligopolio di super-procuratori. E stiamo parlando – da 34 anni – di una Rai in sostanziale duopolio di legge con Mediaset. È in questa peculiare “economia di mercato” che Fazio piuttosto che Amadeus hanno potuto accumulare su se stessi – nell’arco di decenni – un cospicuo valore d’immagine che hanno infine potuto rivendere in via privata a una multinazionale (mentre Bianca Berlinguer è approdata direttamente all’anomala concorrenza “intra-duopolio”). Nessuno ha mai dovuto far fronte a nessuna “clausola di rescissione” che scatta ordinariamente quando un Mbappé o un Haaland vogliono cambiare top-club in Champions League.



La Rai avrebbe potuto trattenere Fazio e Amadeus con una controfferta? A termini stretti di economia aziendale forse sì. L’argomento, per Amadeus, sarebbe: con lui direttore artistico il Festival di Sanremo ha registrato record di ascolti e fatturato pubblicitario. Ma la Rai ha questi obiettivi (o in altri termini: perché la Rai si ritrova costretta dall’oligopolio di legge a questa “mission”)?

Per il centrosinistra evidentemente sì: proprio il duopolio Mediaset ha sempre giustificato l’uso della tv di Stato come strumento politico-mediatico (con “portavoce” come Fazio e Amadeus) e per alcuni verdi come fabbrica di occupazione “amica” o di fatturati “vicini” (non diversamente  dal “cinema di Stato”). In questo modello la Rai si presenta come una piattaforma – a capitale statale e “comprata” principalmente dal canone obbligatorio da parte dei cittadini-teleutenti – su cui forze politiche e professionisti “vicini” fanno leva per creare consenso politico e utili privati, all’interno di un sistema regolato di (non)concorrenza su ascolti e risorse pubblicitarie.

Il Governo Meloni non può certo ritenersi immune dai sospetti di lottizzazione politica della Rai, anche se il centrosinistra è più inattendibile quando si atteggia a paladino dei “professionisti indipendenti”. Sul piano economico, tuttavia, non si può ricordare che nell’ultima Legge di stabilità il Governo ha previsto una riduzione del canone. Una scelta che ha visto reazioni immediate e veementi da parte di entrambi i lati del duopolio: dai dipendenti e fornitori Rai (che hanno gridato al “sabotaggio” del servizio pubblico), ma anche da Mediaset. Il “caso Giambruno” è parso una risposta (direttamente scagliata da Mediaset-Forza Italia sul filo di uno storico conflitto d’interesse) a un passo che sembrava prefigurare l’avvio di una riflessione riformistica della regulation tv in Italia. Tanto più quando si moltiplicavano le voci di espansione internazionale di Mfe, la cui holding è già in Olanda come Exor. Venivano quindi avvalorate le premesse di ripensamento della legge Gasparri. Fra l’altro: può un Governo italiano duellare con la famiglia Agnelli sui sussidi pubblici a Stellantis e lasciare intatti i “sussidi regolamentari” a Mediaset della famiglia Berlusconi?

La scelta di alleggerire il canone Rai è parsa in ogni caso guardare sia al taglio breve di una “tassa impropria” (soprattutto in era digitale), sia all’apertura strutturale di un cantiere di superamento della Gasparri: da anni giudicata illegale dall’Ue proprio sul terreno della concorrenza. Su questo tavolo i dossier sono evidenti: riordino liberalizzatorio del mercato-media e privatizzazione più o meno estesa e rapida della Rai (cioè rielaborazione del “servizio pubblico”, dei suoi obiettivi, dei suoi strumenti e dei suoi costi). E chissà se la sinistra-Rai – che agita  Amadeus e Fazio come icone di “resistenza” – si sta rendendo conto che i due “valorosi compagni” trasbordati a peso d’oro verso Discovery stanno solo accelerando l’inizio della demolizione del duopolio?

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