Il gruppo Gedi ha ceduto Il Secolo XIX dopo i quotidiani del Nordest, accelerando lo smembramento del maggior polo di testate stampa/radio esistente in Italia: un progetto imprenditoriale che non ha fatto a tempo a doppiare il decennio di vita. Nel frattempo il gruppo Angelucci – dopo aver aggregato Il Giornale, Libero e Il Tempo – ha allacciato trattative con l’Eni per l’acquisto dell’agenzia Agi.
La politica – o meglio: il centrosinistra – ha subito lanciato allarmi assortiti, anche se in modo distopico. Ha denunciato nell’attivismo di Antonio Angelucci il rischio di concentrazione e di conflitto d’interesse, ma si è mostrata disattenta all’altro richiamo di cronaca: dal 1945 la dinastia Agnelli, leader del capitalismo industriale italiano, continua a dominare a scacchiera i grandi quotidiani nazionali (oggi vicini all’opposizione, quando Stellantis si scontra con il Governo con l’ennesima pretesa di aiuti pubblici all’auto).
Il centrosinistra accusa Angelucci di “trust” sorvolando sul fatto che da oltre un trentennio la tv generalista in Italia è un duopolio apparentemente infrangibile (anche per il centrosinistra) fra la Rai statale e un’azienda-partito che tuttora sostiene la maggioranza di governo. Eppure “Raiset” è un regime dichiarato ripetutamente non legale dall’Europa: quella per cui si vota fra due mesi, mentre il centrosinistra paventa a senso unico “rischi per la democrazia” in caso di avanzata delle forze politiche della destra. Se intanto Mediaset apre il suo palinsesto a Bianca Berlinguer ci scappa qualche applauso,, mentre un silenzio infastidito accompagna la chiamata alla direzione del Tempo di Tommaso Cerno, ex condirettore di Repubblica ed ex Senatore “dem”.
Il centrosinistra “liberale e di mercato” nelle privatizzazioni con i Governi Ciampi, Prodi e D’Alema è oggi solerte negli altolà a un colosso statale dell’energia (editore “non puro” da manuale) che vuol dismettere e privatizzare un’agenzia di stampa “non core business”. Preferisce invece chiudere gli occhi davanti a una famiglia del cosmopolitismo multimiliardario che – ridotta l’impegno in Fiat a partecipazione finanziaria – disinveste ora anche dai media nazionali mentre conserva una quota “amatoriale” nell’Economist.
Non ha invece remore, il Pd, ad attaccare Angelucci o a guardare con diffidenza l’armatore Gianluigi Aponte o gli industriali veneti che hanno rilevato sei testate ex Gedi. Eppure tutti hanno investito capitali veri in un settore in forte difficoltà, che continua a perdere mercato per mancati investimenti nel digitale e quindi a bruciare posti di lavoro giornalistico. Ma forse la preoccupazione vera è che i nuovi “editori non puri” vadano avanti: che presentino altre offerte, sempre coi soldi sul tavolo.
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