L’Antitrust francese ha posto vincoli draconiani al progetto di fusione fra Tf1 e M6, che avrebbe visto nascere un campione nazionale dell’audiovisivo, centrato su due poli della tv commerciale. I due gruppi editoriali (con Bouygues al comando di Tf1, leader in Francia, e la tedesca Bertelsmann su Rtl-M6, in terza posizione a ovest del Reno), hanno quindi deciso di abbandonare il piano.



Questo era stato messo in cantiere ancora nella primavera del 2021: quando l’uscita dalla crisi Covid aveva accelerato anche nel settore media la ricerca di consolidamenti, per aumentare efficienza e quote di mercato. Nelle vele del possibile “merger” sembrava soffiare anche la resistenza attiva dell’Antitrust Ue contro i giganti tech statunitensi, sempre più dominanti anche nei mercati pubblicitari del Vecchio continente. Per questo le scelte dell’Adlc, l’authority parigina della concorrenza, sono giunte in parte inattese: suscitando fra l’altro reazioni apertamente polemiche sia da parte di Bouygues (maggiore operatore privato di “ictv” in  Francia) che di Bertelsmann, che da Lussemburgo – dove ha sede Rtl – stava pilotando una strategia di sviluppo continentale.



La Adlc – oggi presieduta da Bernard Coeuré, ex membro dell’esecutivo Bce – è un’istituzione formalmente indipendente, ma nella tecnocrazia francese nulla è mai impermeabile agli orientamenti di politica interna e internazionale. E dopo la “vittoria mutilata” di Emmanuel Macron in primavera (conferma faticosa all’Eliseo seguita da perdita della maggioranza all’Assemblea nazionale) è evidente che all’establishment macroniano non è gradita la nascita di un forte soggetto privato nel delicatissimo settore media e neppure un’apertura al consolidamento europeo: la Germania, partner storico dell’Ue “carolingia”, in questo eccezionale frangente geopolitico non appare più una controparte affidabile. Meglio lo status quo, anche se sul piano industriale i dubbi sono fortissimi: a cominciare dall’approccio dell’Adlc, che non considera l’espansione impetuosa delle tecnologie digitali un buon motivo per allentare la vigilanza antitrust sui singoli segmenti tradizionali. Non è d’altronde escluso che questo rinnovato rigore nazionale segnali una frenata “geopolitica” della “confrontation” europea verso Google, Meta & C: non è più tempo di contese all’interno dei mercati di un ritrovato Occidente.



Al di qua della Alpi, in Italia, il caso Tf1-M6 riverbera ombre oblique. Il neo-sovranismo tele-autarchico di Parigi non sembra di buon auspicio per il doppio pressing di Vivendi (Bolloré) su Tim e su Mediaset. Sulla carta sembra invece riaprire spazi per le mire del Biscione su M6: che però alla frontiera tedesca e nell’arena europea non è riuscito a forzare le linee difensive di ProSiebenSat1.

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