La politica monetaria è un grande esperimento che però è fallito. La netta bocciatura arriva da Jürgen Stark, ex ministro federale tedesco delle Finanze e già capo economista della Banca centrale europea (Bce), ora consulente e professore onorario all’Università di Tubinga. Ne parla sulle colonne del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, partendo dall’impennata dell’inflazione, che ha colto completamente impreparati le banche centrali occidentali e gli investitori. Le prime, in particolare, «non erano consapevoli delle complesse forze inflazionistiche che si stavano intensificando a causa delle loro stesse politiche, della fase pandemica e dell’aumento dei prezzi dell’energia, che avevano già iniziato a produrre i loro effetti prima della guerra in Ucraina». Dunque, il primo errore è stato ritenere che lo choc inflazionistico sarebbe stato un fenomeno temporaneo. La mancata uscita tempestiva da una politica monetaria ultraespansiva e la necessità di agire in modo deciso ha portato ad un forte aumento dei tassi d’interesse e al calo dei rendimenti che ora pesano sui bilanci delle istituzioni finanziarie, «che potrebbero trovarsi in difficoltà, con il rischio di una nuova crisi finanziaria».



Per questo Jürgen Stark scrive che il grande esperimento monetario del denaro a basso costo o con tassi di interesse pari a zero o negativi è giunto al termine, «con le banche centrali che sono diventate vittime delle loro stesse azioni». Un j’accuse forte, ma che apre un dibattito: le banche centrali europee devono continuare a combattere l’inflazione, tenendo però d’occhio i crescenti rischi per la stabilità finanziaria? «Attualmente, molti segnali indicano che l’inflazione elevata si sta rivelando più persistente del previsto». Ciò vale sia per gli Stati Uniti che per l’area dell’euro.



“COMPLETA DISTORSIONE DEI MERCATI FINANZIARI”

Secondo Jürgen Stark si può prevedere un tasso di inflazione più alto nel lungo periodo, ma quel che conta ora è «proseguire con una politica monetaria più restrittiva, in modo che l’inflazione non si radichi», anche se ciò comporta «conseguenze dolorose». A Faz illustra la sua ricetta: ad esempio, bisogna fornire liquidità alle istituzioni finanziarie, se necessario. Per quanto riguarda nello specifico la Bce, che ha reinterpretato il suo compito al di là dell’obiettivo primario di mantenere la stabilità dei prezzi nel medio termine, «dovrebbe abbandonare tutte le misure e gli obiettivi non monetari e dedicarsi incondizionatamente al compito principale». Infatti, l’economista osserva che nella nuova strategia della Bce manca lo sviluppo dell’offerta di moneta. Tornando alla politica dei tassi di interesse, aggiunge invece che il nuovo strumento della forward guidance è un’impresa rischiosa. «Lo shock inflazionistico e l’attuale andamento dei mercati finanziari dimostrano quanto possa essere fuorviante la predeterminazione di un determinato percorso dei tassi di interesse e quanto limiti la flessibilità delle banche centrali nel reagire, se necessario, a cambiamenti inattesi dei dati». Inoltre, l’effetto delle correzioni può essere dirompente. Senza alcun giro di parole, Jürgen Stark arriva al nodo della questione: «La sperimentazione di politica monetaria con tassi d’interesse zero e negativi, ovvero lo spegnimento dei segnali di tasso d’interesse e i massicci interventi sul mercato, hanno portato a una completa distorsione dei mercati finanziari». Sono stati creati incentivi sbagliati con l’acquisto massiccio di titoli di Stato ed è stato ulteriormente alimentato il debito pubblico. Inoltre, l’acquisto di obbligazioni da parte delle banche centrali ha comportato anche l’esclusione degli investitori privati, che sono stati spinti verso rischi più elevati grazie alle istruzioni del quantitative easing.



“BANCHE CENTRALI INTERVENUTE TARDI E MALE…”

Con l’inasprimento delle politiche monetarie, emergono più chiaramente gli effetti negativi delle politiche ultraespansive. «I rischi assunti si riflettono sempre più in costi economici e finanziari reali. L’uso efficiente delle risorse non è stato promosso, anzi: i tassi d’interesse molto bassi hanno portato a una cattiva allocazione delle risorse», scrive Jürgen Stark su Faz. Nelle economie occidentali, i bassi tassi di interesse hanno portato ad una «zombificazione delle aziende già prima della pandemia». Molti investimenti finanziati dal credito in passato non sono più redditizi, i modelli di business di molte aziende si stanno rivelando discutibili, i prestiti rischiano di diventare non performanti, col rischio di mettere ulteriormente sotto pressione i bilanci bancari. Viene fuori allora una situazione economica «tossica» in una fase di incertezze e sfide politiche ed economiche delicate. «Ciò ha un impatto negativo sulla produttività e sulla crescita economica complessiva». Per l’economista, a causa dell’aumento dei tassi di interesse e della riduzione delle valutazioni, le stesse banche centrali registreranno perdite elevate, che potrebbero persino portare a un patrimonio netto negativo. Ciò non compromette la capacità di funzionamento di una banca centrale, ma senza dubbio può causare una notevole perdita di fiducia.

«Non tutte hanno tenuto conto dei rischi elevati e hanno costituito degli accantonamenti. In caso di necessaria ricapitalizzazione di una banca centrale, ciò si ripercuote sui contribuenti». Le crisi dell’ultimo decennio e mezzo hanno reso le banche centrali molti potenti nella gestione delle stesse, ma queste si sono avventurate secondo Jürgen Stark «ripetutamente e inutilmente in territori inesplorati». Fed e Bce hanno così messo le basi per ulteriori crisi. «Le banche centrali sono state sorprese dall’alta inflazione, che ha richiesto un’azione decisa. Poiché l’azione è stata intrapresa troppo tardi, è stato necessario intervenire in modo ancora più brusco, con conseguenze non inaspettate per gli operatori dei mercati finanziari e per i mercati». L’economista boccia, infine, le nuove strategie di politica monetaria della Fed e della Bce, perché non si sono dimostrate in alcun modo solide, motivo per il quale ritiene che le strategie debbano essere riconsiderate. «I modelli macroeconomici, in cui spesso si trascurano le non linearità, devono essere messi alla prova. Le analisi del rischio devono essere migliorate in modo significativo. Inoltre, non tutte le misure si sono dimostrate utili e praticabili. Pertanto, non appartengono in modo permanente alla cassetta degli attrezzi della politica monetaria», conclude Stark.