La visita del Governo italiano in Cina, al di là di certa retorica trionfalistica, riapre la questione del ruolo e delle prospettive della nostra economia nel panorama internazionale. Un problema analizzato con realismo dal recente volume “Chi ha paura della Cina” di Francesco Sisci, secondo cui siamo di fronte a una svolta epocale: chi non cambierà per adeguarsi alle sfide che il gigante asiatico ha lanciato resterà ai margini della scena mondiale. Che si condivida o meno questa tesi, è indubitabile che la globalizzazione chiede a tutti un cambiamento, non solo economico, ma soprattutto culturale.
Per non soccombere di fronte ai nuovi protagonisti, molto più competitivi di noi ad esempio sul piano del costo del lavoro e delle materie prime, il nostro Paese deve ricorrere alla sua principale risorsa. Laddove infatti nessun esponente delle grandi agenzie di finanza e consulenza internazionale lo prevederebbe, nel nostro Paese nascono e si sviluppano ancor oggi “casi aziendali” unici nel loro genere. Senza ricorrere ai soliti e conclamati esempi, si pensi alla Chicco di Como, leader mondiale nel campo dei prodotti per bambini; o ai pastifici abruzzesi di altissima qualità che hanno raggiunto una fama mondiale, in luoghi senza infrastrutture e senza ricorrere a campagne pubblicitarie, così come dimostra una recente inchiesta curata da Graziano Tarantini. Purtroppo, mentre al MIT continuano a studiare questi “fatti aziendali” che caratterizzano l’economia italiana, molta della nostra intellighenzia e classe dirigente li snobba, considerandoli segni di uno sviluppo caotico e confusionario, trascurando quelle che, invece, sono le domande fondamentali a cui rispondere.
Perché nascono realtà che i loro modelli non prevedono? Cosa realmente le genera? Cosa aiuta questo processo? Uno sguardo a tutti gli aspetti della vita, fatto di intuizione metafisica e realismo figli, prima, di una concezione cristiana dell’esistenza, poi, di amore alla giustizia e al progresso che abbiano al centro l’uomo: sono i fattori all’origine della capacità di inventare, di fare rete, di incontrare con positività nuovi popoli, tipica della nostra tradizione. Educare a questa concezione dell’esistenza è la vera priorità, anche economica, dell’Italia.
La crisi del nostro Paese ha come origine il fatto che, a fronte di questo continuo rigenerarsi di alcuni, gran parte della classe dirigente ha abbandonato questi valori e questa forza ideale. Così, oltre a non generare più nulla e a vivere di rendite e clientele, non ci si impegna per predisporre quel sistema di istruzione, di credito, di tassazione, di incentivi alle imprese; quelle infrastrutture, quel risanamento dei conti pubblici, quella reale liberalizzazione, necessari per la sua crescita. Se ciò avvenisse, la piccola impresa di oggi potrebbe diventare la grande multinazionale di domani, rivitalizzando tutta la nostra economia. Così potremmo veder crescere anche in Italia nuove Microsoft, Hewlett Packard, Zara, Starbucks…



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