È la prima volta nella storia della Repubblica italiana che il principio di sussidiarietà orizzontale viene espressamente valorizzato nel messaggio di insediamento di un presidente della Repubblica. L’attenzione a questo principio, che si avverte con precisione anche nel discorso del presidente del Senato, è un segnale importante. Ciò, infatti, è nel contempo segno della sensibilità democratica delle persone che sono state chiamate a rivestire le due più alte cariche dello Stato, e segno del lavoro culturale e politico che negli ultimi anni si è svolto intorno a questo principio, che dimostra ormai di avere assunto una dignità costituzionale tutt’altro che marginale.
La sussidiarietà è infatti un presupposto fondamentale per lo sviluppo di un serio programma riformista. L’ideale della giustizia sociale non può più essere costruito su una visione antropologica negativa come quella hobbesiana dell’homo homini lupus. La crisi del Leviatano è stata analizzata in lungo e in largo dalla letteratura mondiale, che ha denunciato l’inadeguatezza endemica dei sistemi fiscali, l’impossibilità di far fronte alle crescenti aspettative di benessere, il rischio di un assistenzialismo passivizzante e la creazione di nuove povertà. L’architettura fondamentale del welfare state si poggiava su un progetto di giustizia sociale costruito sulla progressività dell’imposta, che garantiva redistribuzione senza che si potesse minimamente mettere in conto la possibilità per la grande ricchezza di diventare “apolide” e sfuggire in modo del tutto legale alla pretesa fiscale dello Stato. Con la globalizzazione, infatti, è venuta meno questa capacità redistributiva e la mancata modernizzazione in chiave di sussidiarietà dei sistemi di welfare determina oggi, patologicamente, trappole della povertà, casi di solidarietà rovesciata e situazioni di disagio sociale a danno delle fasce più deboli della popolazione.
Occorre un’altra modernità: quella della sussidiarietà, che porta a valorizzare e ad alimentare le migliori capacità umane. Da questa nuova idea di modernità discende l’esigenza di un radicale cambiamento delle definizioni di ciò che è pubblico e di ciò che è privato, fino a una ridefinizione dei diritti sociali. Da nuovi diritti sociali strutturati sulla sussidiarietà anziché sull’assistenzialismo si può infatti giungere al traguardo di una maggiore equità e di un recupero di libertà nel sistema. Esemplificando: perché un operaio non può avere la piena detrazione fiscale delle spese che realmente sostiene per educare e mantenere i figli? Perché se sostiene una spesa dentistica questa non è pienamente deducibile e continua ad essere tassato come se avesse ancora i soldi che ha speso per curarsi? Perché un soggetto della upper class paga un viaggio in Eurostar ad un prezzo inferiore a quello del costo reale e viene quindi sovvenzionato da quello stesso operaio? È quindi ancora opportuno l’universalismo nei servizi pubblici finanziato dalla fiscalità generale? Perché quell’operaio non può avere la libertà di scegliere tra servizio pubblico e servizio privato? Perché non può avere il diritto ad accedere a un “quasi mercato” dove agenti pubblici e privati non profit possano concorrere in condizione di parità, sotto il controllo pubblico sulle prestazioni erogate?
Si tratta di “perché” a cui si potrebbe rispondere appunto con diritti sociali fondati sulla sussidiarietà, il cui riconoscimento permetterebbe di rafforzare le istituzioni e, usando un’espressione tanto cara al sociologo contemporaneo Anthony Giddens, di “democratizzare la democrazia”.



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