A ragionare sul nostro bipolarismo, si urta subito contro due verità contraddittorie. Perché è vero, verissimo, che il bipolarismo, in quasi un quindicennio, è entrato a far parte del senso comune della grande maggioranza degli italiani, che probabilmente non coltivano più, in materia, gli ingenui entusiasmi dei primi anni Novanta, ma non per questo sono disposti a far macchina indietro rispetto a una concezione della democrazia in cui la coalizione vittoriosa governa e quella sconfitta esercita, dall’opposizione, una funzione di controllo non meno significativa, cercando di costruire le condizioni per essere lei, la prossima volta, a vincere. Ma è pure vero, verissimo, che una simile concezione ha avuto, nella pratica, ben pochi riscontri. Nel senso che sì, dal ’94 a oggi vincitori e sconfitti certi ci sono stati a ogni tornata elettorale. E però di “governo” nel senso alto della parola, per molti motivi, non se ne è visto, o quasi; e di opposizione, o almeno di opposizione nel senso sopra indicato, neppure. Si sono visti invece aspri confronti (e talvolta guerriglie) all’interno dei due schieramenti contrapposti. Nel quadro di uno stato permanente di guerra, di lotta senza esclusione di colpi, di contestazioni via via sempre più virulente, tra un centrodestra e un centrosinistra che non si sono mai riconosciuti reciprocamente fino in fondo piena legittimità politica e morale a governare. Cosicché la grande maggioranza degli italiani, con il trascorrere degli anni e il susseguirsi di delusioni che lo strepito delle polemiche rissose non è certo valso a lenire, ha continuato a partecipare massicciamente alle elezioni, ma ha pure iniziato a disilludersi, più che delle virtù del bipolarismo, di quelle della politica. O almeno della politica così come la offrono sul mercato questo centrodestra e questo centrosinistra.
Da queste due verità contrapposte e tra loro contraddittorie si rischia, inutile nasconderselo, di restare paralizzati. E di sicuro non se ne viene a capo sciorinando buoni propositi, e predicando, di contro alle miserie del nostro bipolarismo selvatico e muscolare (ma bisognerebbe dire: inutilmente selvatico, gratuitamente muscolare), gli splendori di un bipolarismo finalmente civilizzato e maturo. Chi a questa seconda idea di bipolarismo resta legato (e nonostante tutto e tutti, siamo in molti, e da entrambe le parti della barricata vera o presunta che divide il paese) piuttosto che a predicare è chiamato a fare. Costruendo strade e ponti là dove ci sono macerie, e predisponendosi certosinamente a ricostruire quando, come tanto spesso avviene, queste strade e questi ponti vengono distrutti. Continuando a coltivare l’arte del dialogo e del confronto anche quando tutto sembra parlare a favore della rissa e dello scontro frontale. Si può, anzi, si deve farlo (e quello della sussidiarietà è un terreno importante) alla luce del sole. E senza che nessuno debba rinunciare ai propri valori, negoziare i propri princìpi, annegare nella melassa le proprie convinzioni. Una democrazia e un bipolarismo maturo sono fatti anche di conflitto, e di forti tensioni politiche e civili. Ma si fondano sull’idea che i valori, i princìpi, le convinzioni dell’altro, per diverse e magari opposte che siano rispetto alle nostre, sono una ricchezza per tutti, non un cancro da estirpare. Forse è proprio nella battaglia per affermare questo punto di vista, ben prima che in quella per un diverso sistema elettorale o per la riforma della Costituzione, che dovremmo impegnarci con energia molto maggiore.



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