«Nell’Ottocento in Italia Mazzini ha battuto Cattaneo», spiega Giulio Tremonti. «Si capisce poco, della storia d’Italia, se non si capisce questo. Mazzini, con la sua ideologia nazionale e unitaria, con il suo mito dell’unità organica del popolo italiano, era pienamente in sintonia con lo spirito del suo tempo. Cattaneo, tollerante e non dogmatico, pragmatico e non mitico, liberale e pluralista, in una parola federalista, ha anticipato comunque il tempo futuro». Sembra, infatti, arrivata l’ora della rivincita di Cattaneo. «È Cattaneo che ora è nello spirito del tempo presente. Dopo un secolo e mezzo – prosegue Tremonti – la ruota della storia ha infatti ricominciato a girare, sia in Europa che in Italia».
Non si tratta di una battaglia per costruire una nazione, come allora inesistente, ma per riformare un sistema fiscale secondo alcune indicazioni già contenute nella nostra Costituzione, precisamente al Titolo V, «la parte di Costituzione vigente in tema di federalismo, prodotta dai lavori della Bicamerale».
Ai lavori della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (meglio nota come “Bicamerale”), istituita nel 1997, partecipò anche l’attuale vicepresidente di Forza Italia, che ricorda, in particolare, «due regole di rivoluzione costituzionale» introdotte grazie a suoi emendamenti. «Un primo emendamento, sul principio delle competenze statali chiuse (“numerus clausus”), con tutte le altre competenze attribuite invece alle Regioni. Il presidente Elia mi disse (forse giustamente, dal suo punto di vista) che questa era una “provocazione”. E’ diventato un principio della Costituzione! Il secondo emendamento ha riguardato l’inversione del flusso finanziario. Non lo Stato che ha la titolarità propria ed originaria delle “grandi imposte” (prius), salvo poi trasferire una quota del relativo gettito alle Regioni (posterius). Ma, all’opposto, le Regioni che hanno titolarità fiscale originaria delle “grandi imposte”; ferme in parallelo, ma non in sovrapposizione, piuttosto a completamento, la quota Stato e la quota solidarietà. Anche questo emendamento è entrato nella Costituzione. In particolare, nell’articolo 119, secondo comma, seconda parte è scritto che le Regioni: “Dispongono di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali” (le “grandi imposte”) “riferibile al loro territorio”. È questa, a Costituzione vigente, l’architrave del federalismo fiscale. Che non è il federalismo delle addizionali o dei “piccoli tributi” locali. Ma una meccanica che passa attraverso le “grandi imposte”, un tempo solo statali ed ora invece anche regionali”. È stato così rotto il vecchio schema di soggezione delle Regioni allo Stato. Deriva da questo principio una conseguenza che è fondamentale: se la Costituzione attribuisce alle Regioni un diritto, un potere, una funzione, le Regioni possono legiferare legittimamente e direttamente, senza più l’intermediazione della legge dello Stato! Ferma a valle la solidarietà». «Federalismo fiscale: non è questo un caso in cui – prosegue Tremonti – l’aggettivo (fiscale) cancella o riduce il sostantivo (federalismo). È questo piuttosto un caso in cui sostantivo ed aggettivo compongono un tutt’uno».
Ma sul federalismo fiscale, uno dei più grandi problemi, se non il principale, è far coesistere il principio di responsabilità con quello di solidarietà (e di sussidiarietà). «Il principio di solidarietà – spiega Tremonti – è stabilito dalla Costituzione italiana all’articolo 2. Solidarietà, però, non equivale ad assistenzialismo. L’articolo 119 della Costituzione chiarisce questa dimensione del problema, stabilendo il principio di territorialità e prevedendo una perequazione rapportata alla “capacità fiscale” e non ai “bisogni”. Questo vuol dire che la perequazione ordinaria deve finanziarie i costi standard dei servizi, non le spese che derivano da disfunzioni e inefficienze. Sempre l’articolo 119 della Costituzione, al quinto comma, prevede la possibilità di stanziare risorse aggiuntive e forme speciali di intervento per promuovere la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, ecc. I “bisogni” vengono perciò considerati, ma in un’ottica di solidarietà responsabilizzante».
Anche le imprese potrebbero essere interessate dall’attuazione di un vero federalismo fiscale, se questo non degenerasse nell’aumento della pressione fiscale e nel proliferare di nuove imposte: il federalismo fiscale può infatti avere tutt’altro segno, premiando l’efficienza e creando occasioni di competitività, fino a permettere il rilancio delle zone economicamente depresse, come il Mezzogiorno. Questa è già una prospettiva a livello europeo. Infatti, come afferma Tremonti, «la Corte di giustizia si è recentemente pronunciata sulla compatibilità comunitaria di forme di fiscalità regionale di vantaggio. Ha fatto importanti aperture a favore degli Stati dove esiste un effettivo – e non fittizio – federalismo fiscale. La fiscalità regionale di vantaggio costituisce una misura ad alto potenziale per il rilancio del Mezzogiorno». Dunque, occorre proseguire nella strada verso «una riforma allineata con i parametri europei di federalismo fiscale, altrimenti si priverà il Mezzogiorno di questa importante possibilità aperta dalla Corte di giustizia».
Un’altra potenzialità del federalismo fiscale, ancora inespressa nel nostro Paese, è la possibilità di una maggiore trasparenza e di un maggior controllo democratico della spesa pubblica. Purtroppo, come spiega Tremonti, «in Italia siamo comunque fermi: in questa stasi non si realizza né controllo democratico né trasparenza della spesa pubblica. L’ultima finanziaria ne è l’esempio: ha creato una nuova batteria di strumenti centrali di intervento pubblico e una nuova, eccezionale, panoplia di fondi a gestione statale in materie di competenza regionale. Questo è il contrario sia del federalismo che della sussidiarietà».
Certamente Cattaneo non può ancora ritenersi soddisfatto, tuttavia vincere la battaglia del federalismo fiscale significherebbe un passo in avanti verso la realizzazione di quel federalismo da lui tanto propugnato.