Secondo i dati dell’Istat, oltre quattro milioni di italiani lavorano nel terzo settore. Giulio Tremonti, vicepresidente di Forza Italia, spiega che questo dato «vuol dire tante cose. Tra le altre, vuol dire che quanto lo Stato garantisce, in termini di orario di lavoro ridotto o di età di pensione anticipata, la società lo restituisce trasformando il “tempo libero” e “l’età di riposo” in forme intense di impegno civile. La relativa “generosità” dello Stato sociale è dunque restituita da una parallela generosità della società. Questo dato vuole anche dire che nella vita c’è qualcosa di più del freddo calcolo delle ore, dei coefficienti, dei parametri di conto: ci sono generosità e passione, responsabilità e umanità». Senz’altro, vi è anche la necessità di superare il tradizionale welfare state, «quella – come la definisce Tremonti – invenzione politica provvidenziale sviluppata nella seconda metà del Novecento per portare l’uomo “dalla culla alla tomba”, ma che è entrata in crisi, perchè produce “poche culle e poche tombe”. Lo Stato sociale ha funzionato benissimo per molto tempo, ma non ci si può illudere: deve cambiare. Non si può pensare di entrare nel futuro conservando invariati i vecchi meccanismi di governo, che da soli non reggeranno le nuove sfide e che da soli non saranno la soluzione, ma piuttosto il problema».
La risposta al problema arriva semmai dalla società: famiglie, comunità e, appunto, terzo settore, «che – spiega l’ex ministro – dà moltissimo e riceve pochissimo. Il “circuito” tra i diversi settori è, infatti, il seguente: il primo (il privato) finanzia il secondo (lo Stato) con grande sforzo (la metà circa del suo prodotto). Lo Stato, invece, trasferisce al terzo settore solo le briciole di quel che riceve. Dargli così poco, date le sue enormi potenzialità, è un errore politico. La politica può essere cattiva o buona, odiata o amata.
È cattiva la politica che ignora la realtà o che pretende di modificarla, convinta di saperne di più. È buona la politica che parte dalla realtà e l’asseconda, la favorisce nelle sue tendenze positive».
Un esempio di “buona politica” è senz’altro dato dal 5 per mille, «un’idea – racconta Tremonti – che ho lanciato in un articolo del Corriere della Sera di tre anni fa e che ora è diventata patrimonio comune, nonostante si trattasse di una novità assoluta, più complicata del famoso 8 per mille: un’altra mia idea di cui sono orgoglioso». Tra le due idee del vicepresidente della Camera dei Deputati, la più recente è anche la più “rivoluzionaria” e sussidiaria, perché «rompe il monopolio della politica, trasferendo quote di potere e di responsabilità dallo Stato alla società. Ma soprattutto perché rappresenta un importante strumento di democrazia fiscale». Infatti, nel suo primo anno di introduzione, nel 2006, il 5 per mille «è stato scelto – continua Tremonti – da circa 16 milioni di italiani, una cifra fantastica che esprime una fortissima generale volontà di partecipare alla vita civile, dal volontariato alla ricerca. Gli italiani vogliono fare e contare di più, essere protagonisti, decidere in presa diretta, e la politica deve tenerne conto».
Un successo, quello del 5 per mille, dovuto all’aver concesso «un nuovo e più diretto coinvolgimento della società civile nelle scelte di destinazione e di gestione delle risorse pubbliche, fuori dal blocco del bilancio pubblico. Il contribuente è stato messo nelle condizioni di effettuare una libera scelta in ordine ai soggetti del terzo settore che intendeva finanziare, perché aveva conoscenza, diretta o indiretta, della loro capacità di svolgere efficacemente servizi sociali meritori. Il cittadino, infatti, ha potuto destinare direttamente parte delle sue imposte all’ente che voleva premiare, indicandone in dichiarazione dei redditi il codice fiscale. In uno scenario sempre più complesso, questo è un modo per conservare, contemporaneamente, imposizione fiscale e consenso democratico».
Si potrebbe pensare di replicare il successo di questa norma, e in effetti l’ex ministro ha già avanzato la proposta di un “5 per mille ambientale”, da aggiungere a quello già in vigore. «Il senso politico fondamentale di questa proposta – spiega Tremonti – è quello di allineare un bisogno generale (la tutela dell’ambiente) con un nuovo e straordinario mezzo di finanziamento fiscale. Gli strumenti di sviluppo delle politiche ambientali sono infatti numerosi, così come i canali di finanziamento, ma non sono ancora sufficienti. Un nuovo 5 per mille, specificamente dedicato all’ambiente, rappresenta dunque un altro modo innovativo per coinvolgere direttamente il cittadino nel circuito della solidarietà e della responsabilità civile, essendo l’ambiente un valore che è insieme universale e particolare (si tratta del “proprio” habitat)».
«Come per il “classico” 5 per mille – prosegue Tremonti – il contribuente, senza pagare alcun euro, potrà finanziare soggetti, enti, corpi e progetti che ritiene utili e meritevoli: il proprio Comune, impegnato in un piano territoriale, il proprio Parco naturale, il Wwf, le associazioni di tutela ambientale, i grandi progetti internazionali di azione e di studio e, perché no, anche il Corpo forestale dello Stato, i Vigili del fuoco, ecc.»
Si tratta di una proposta concreta e importante, «se altri partiti l’accetteranno – conclude Tremonti – ne saremo ben lieti. In ogni caso, siamo convinti del fatto che questa proposta, la prima del genere in Europa, porterà l’Italia sulla frontiera della modernità. L’ambiente non è solo una ipostasi, una dimensione universale, un problema globale, è anche l’aria che si respira, l’acqua che si beve, il verde in cui si vive». Insomma, il 5 per mille “ambientale”, come quello “classico”, sarebbe un nuovo strumento nelle mani dei cittadini per migliorare la propria vita, e anche quella degli altri.