«La Costituzione, nel suo complesso, mostra ampiezza di vedute e, assieme, grande chiarezza espositiva. È l’esempio di come in un particolare momento di emergenza, come fu quello successivo al secondo conflitto mondiale, il nostro Paese poté contare su una classe dirigente, un’élite, che era in grado di guardare al di là del contingente. Certo, non sono mancati gli errori, come fu quello di essere preoccupati maggiormente, riprendendo ovviamente la tradizione liberale precedente al fascismo, della rappresentatività invece che della stabilità. Ma in generale il risultato fu importante». Spiega così, Ferruccio De Bortoli, direttore de Il Sole 24 Ore, i lavori che sessant’anni fa portarono alla stesura e quindi all’approvazione della Costituzione. Lavori che oggi, probabilmente, potrebbero avere luogo non senza difficoltà. Dice De Bortoli: «Mi chiedo cosa succederebbe oggi se ci fosse una Costituente e una commissione dei 75 incaricata di scrivere l’articolo sette sui rapporti tra Stato e Chiesa. Non basterebbero dieci pagine. Sessant’anni fa, invece, il clima post bellico da una parte, e dall’altra il confluire nei lavori costituenti di ideologie che, pur contrapposte, avevano combattuto assieme nella lotta di liberazione, ha permesso la stesura della nostra Carta costituzionale».
Oggi si parla spesso della necessità di rivedere la Costituzione in alcune sue parti. Dove sarebbe più opportuna una riflessione? «Pur, ovviamente, rispettando l’idea che i soggetti più deboli devono essere tutelati – dice De Bortoli -, occorre che una reale cultura d’impresa non venga osteggiata, quanto favorita. Anche il nostro sistema giuridico sembra costruito per bloccare questa cultura e non per favorirla. Certo, insieme è importante cercare di valorizzare il principio di sussidiarietà, principio iscritto nella tradizione italiana, una tradizione di volontarismo, di azione municipale, di comitati autogestiti, di forme di associazionismo importanti. Il tutto, come fu nell’intento di chi redasse la Costituzione, cercando di avvicinarsi il più possibile al raggiungimento del bene comune».
E ancora: «I padri costituenti puntarono molto sul principio di rappresentanza. E questo è probabilmente andato a discapito della governabilità. Il sistema, anche per reagire al fascismo, era prettamente proporzionale in quanto rifletteva la preoccupazione di dare la maggiore rappresentatività possibile a tutti. Oggi questa rappresentatività si è un po’ perduta. Nel momento in cui si è tornati ai collegi uninominali, e dunque a puntare molto sul legame tra il singolo eletto e il proprio collegio, si è un po’ dimenticata l’importanza del mandato generale a cui ogni eletto dovrebbe rispondere. Se si dimentica il mandato generale, in qualche modo si rischia di calpestare il bene comune».
Recuperare la nozione di bene comune è fondamentale per ogni società civile. «Bene comune, tuttavia – continua de Bortoli – non significa semplicemente lasciare libertà d’iniziativa al singolo, ma comporta semmai unire assieme valori e interessi, sussidiarietà e solidarietà. Se non riscopriamo il bene comune come un misto eguale di valori e interessi, impoveriamo il senso civico e rendiamo sempre più fragili i legami di cittadinanza. E questa, a mio avviso, è la vera emergenza democratica».



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