Prima la prolusione del cardinale Bagnasco in apertura del Consiglio permanente della Cei; poi, ieri, le conclusione del segretario uscente Giuseppe Betori. In entrambe le circostanze la Conferenza episcopale italiana ha ritenuto opportuno tornare a chiarire la posizione della Chiesa sulla tanto dibattuta questione del testamento biologico, soprattutto a partire dalla ben nota sentenza sul caso di Eluana Englaro. Ora la Chiesa si dice favorevole a un intervento legislativo su questo argomento, proprio per impedire le derive contenute in quella sentenza; un pronunciamento, quello della Chiesa, che da alcuni è stato addirittura interpretato come una ritrattazione.
Ma ieri Betori ha precisato che la Cei non si è detta favorevole al testamento biologico, bensì a un semplice intervento legislativo che dia regole precise, evitando la «cultura dell’autodeterminazione». Un «chiarimento utile», secondo il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, che può solo fare bene al dibattito che da domani inizierà in commissione Salute al Senato, sui vari disegni di legge intorno a questo argomento.
Onorevole Roccella, il segretario uscente della Cei Giuseppe Betori ha ieri chiarito la posizione della Chiesa, facendo anche una distinzione: essere favorevoli a una legge non significa essere favorevoli al testamento biologico. Cosa pensa di questa distinzione?
È una cosa importante distinguere e chiarire, perché la materia è molto delicata. Ciò di cui si sta parlando è la dichiarazione anticipata di trattamento, che si ricollega all’articolo 32 della Costituzione. La legge che vogliamo fare verte su due concetti fondamentali: la libertà di cura e il consenso informato, dando regole chiare sul concetto di consenso. Bisogna trovare un giusto equilibrio che contemperi questi due concetti fondamentali: il diritto alla cura e la libertà di cura.
Non è sufficiente l’articolo 32 per regolare questo?
Fino ad oggi c’è stato solo l’articolo 32; ma ora c’è stata un’interpretazione giurisprudenziale che è andata oltre lo spirito della Costituzione. Ora vogliamo ritornare all’interno di una interpretazione che affermi di nuovo sia la libertà di cura, sia l’inviolabilità della vita. Non deve trattarsi nemmeno di una legge sul “fine vita”: si tratta semplicemente di una legge che regoli l’articolo 32.
Che cosa rende necessaria questa legge?
Il fatto che a un certo punto sia iniziata un’interpretazione sempre più minacciosa nei confronti del diritto alla cura, arrivando a spingersi verso l’ammissione dell’abbandono terapeutico e il supermento di quei limiti che aprono la strada all’eutanasia. Bisogna ristabilire una garanzia della libertà personale, che d’altra parte confermi anche senza incertezza il diritto alla cura. Il tutto all’interno di un rapporto forte di alleanza tra medico e paziente
Oggi in commissione Sanità al Senato inizia il dibattito sui disegni di legge: quali sono le prospettive di questo dibattito, che prevede la presentazione di ben sei disegni di legge?
In commissione si riprenderà il dibattito, che già c’è stato al Senato: un dibattito complesso in cui non si è ancora trovato un accordo. Bisognerà riprendere quello che è maturato nel dibattito, aggiornandolo con i due fatti fondamentali accaduti durante questa legislatura: la sentenza Englaro e le mozioni, fatte sia dal Senato che dalla Camera, sul conflitto di attribuzione a proposito della medesima sentenza. Al Senato peraltro c’è stata anche una mozione bipartisan, votata anche dal centrosinistra, sul fatto che ci sia l’esigenza di arrivare in tempo brevi alla legge. Questi sono i punti nuovi da cui il legislatore deve ripartire per aggiornare il dibattito. Spero che si possa arrivare a una legge il più possibile condivisa.
La presa di posizione della Cei influirà sul dibattito che sta per iniziare?
Diciamo che la Cei, con la sua posizione pacata e ragionata, aiuta culturalmente a chiarire i termini della questione. Secondo me è importante che venga sgomberato il campo dal pregiudizio nei confronti della Chiesa. Anche quando partecipo ai dibattiti, noto nel pubblico una prevenzione nei confronti delle posizione cattoliche, come se fossero arretrate e contrarie alla libertà personale. Al contrario gli interventi di Bagnasco e Betori hanno chiarito il quadro, ponendo le garanzie a tutela dei più deboli e dei più fragili, ed evitando quell’ingegneria sociale che è alla base della sentenza Englaro. Sono preoccupazioni che possono essere condivise da tutti, perché posizioni di estrema ragionevolezza, anche e soprattutto per un laico. Chi crede che esista solo una vita sulla terra, mi pare che a maggior ragione debba fare in modo che questa sia tutelata, e che non vengano fatte scelte assolutamente irrimediabili.