Il professor James G. McGann è un luminare internazionale nel campo delle strategie politiche, nonché uno dei più grandi esperti al mondo in materia di think tanks. Proprio su queste e sul loro straordinario ruolo all’interno del pensiero politico ha espresso le sue opinioni in un’intervista rilasciata a ilsussidiario.net
Professore, qual è il ruolo delle think tank all’interno del pensiero sociopolitico?
Per rispondere alla prima domanda, partirò da Platone. I problemi associati al potere e alla conoscenza sono ben noti. In relazione a ciò Platone diceva: «non ci possono essere governi buoni fino a quando i re non sono anche filosofi». E viceversa.
Questa frase sottolinea bene i problemi che nascono dai rapporti tra “accademia” e il mondo della politica. Sono diverse culture, in continuo conflitto. L’approccio ai problemi sociali è diverso nell'”accademia” rispetto a com’è nel mondo politico.
Le think tank in questo senso svolgono un utilissimo lavoro. È un lavoro che risulta necessario perché creano un ponte tra il mondo della politica e quello delle idee. Il loro ruolo è vitale in un mondo totalmente democratizzato dall’accesso a internet e dai vari media. Il potere non può più essere centralizzato, dal momento che l’informazione non può più essere controllata dal governo. I politici e altre istituzioni devono dunque essere maggiormente in relazione con il pubblico. Inoltre devono essere pronte a ricevere stimoli dal pubblico, altrimenti pagheranno un prezzo elevato per aver ignorato le esigenze che sorgono dal popolo. La realtà è che le vecchie concezioni politiche non sono più in grado di svolgere le proprie mansioni.
Spesso mi viene chiesto consiglio dai governi in giro per il mondo, e i motivi principali sono due:
1) I governanti sono giudicati sempre più approfonditamente dal pubblico
2) Ma lo sono anche dai loro capi: i membri del congresso, i parlamentari e i ministri.
Che governava nel passato non si aspettava che gli accademici, le think tanks, ma anche i loro stessi dipendenti avessero accesso a un certo tipo di informazione. Erano assolti dall’ignoranza.
A suo avviso è importante sviluppare un pensiero politico che promuova il principio di sussidiarietà?
Noi viviamo in un mondo globalizzato, interdipendente. La globalizzazione è una realtà e lo è anche la regionalizzazione, si pensi all’Unione europea. Ma allo stesso tempo vi è un’altra esigenza contrapposta a tutto ciò in tutto il mondo, il desiderio di “aggrapparsi” a ciò che ha veramente significato, e di dare significato alle cose, e questa è la sussidiarietà.
La sussidiarietà risponde alle persone che si sentono perse a cause della globalizzazione, è la chiave che permette loro di essere collegate. Questo perché la sussidiarietà crea un collegamento tra la realtà locale, la globalizzazione e il potere rispondendo anche alle esigenze di conoscenza. Re-inventare, e presentare le idee al livello più basso in maniera così significativa non è cosa semplice sotto il profilo concettuale ed analitico.
Milano è molto avanti sotto il profilo della sussidiarietà, ma lo sviluppo di questa sta divenendo un trend mondiale.
Per quale motivo?
A causa del network globalizzato e della democratizzazione, la complessità del processo decisionale politico, a cui facevo riferimento prima, sta costringendo gli attori politici a cercare istituzioni che riescano a trovare e rispondere sinteticamente alle esigenze delle persone a livello locale. Basti pensare che ora ci sono circa 5500 think tanks in 169 paesi nel mondo.
Da quando ho cominciato a monitorare l’attività delle think tanks, il fenomeno è cresciuto esponenzialmente. Il funding per queste istituzioni è cresciuto notevolmente.
Che cosa ha favorito lo sviluppo negli ultimi tempi delle think tank?
Come dicevo ad Alessandro Colombo, è da anni che lavoro con il governo di Hong Kong. Nel 1998 consigliai loro di aumentare e rinforzare la loro capillarità politica perché resistere alla gravitational pull di Pechino senza una presenza politica locale sarebbe impossibile. E anche se inizialmente c’era il desiderio di farlo, e i leader di Hong Kong erano molto interessati, non riuscirono, per una lunga serie di motivazioni, e compiere il salto decisivo, soprattutto a causa di alcuni passi falsi di certi executives di Hong Kong. In seguito nacque un movimento democratico popolare che indicava l’esistenza effettiva di una crisi: c’era un vasto pubblico mobilitato che contestava il fatto di non essere appropriatamente rappresentato. Questo portò a un necessario cambiamento nel modo di fare policy e di come affrontare il problema. Stanziarono quindi 86 milioni di dollari per la ricerca in politiche pubbliche.
Ecco un esempio di paese economicamente dinamico e di un’entità unica nella regione, che ha ha fatto una scelta importante per il proprio futuro. Non l’hanno fatto per motivi politici, ma strategici.
Se vuoi mantenere la tua unicità e avere i tuoi vantaggi strategici, devi sviluppare la capacità decisionale per poterlo fare. Molti di quelli con cui lavoravo per queste consulenze, colleghi francesi, hanno sottolineato che in Francia, ma generalmente in tutta l’Europa Occidentale, si è indietro rispetto al resto del mondo nel rispondere a queste esigenze di collegare l’universo del potere e del pensiero politico ai cittadini.
Può dirci dove, secondo lei, risiedono gli esempi più virtuosi di sviluppo delle think tank?
Per esempio: le think tanks in Europa dell’est sono molto più evolute di quelle dell’Europa Occidentale, questo per necessità. Mi riferisco alla Polonia, all’Ungheria, alla Repubblica Ceca o alla Slovacchia.
Se si osservano i numeri degli ultimi anni in termini di sviluppo, ma anche i passi in avanti nei sistemi politici, possiamo dire che le think tanks sono tra i principali attori che hanno portato a questo cambiamento positivo. Molti dei dipendenti delle think tanks si sono trasferiti nei governi, e questo contribuì a lasciare più spazio d’azione, sotto il profilo legislativo, rendendo cosi il paese più stabile. Ci fu un allineamento di stelle nel senso di sviluppo lineare: prima la caduta del regime sovietico, poi i flussi di capitali dagli USA e dall’Europa che permisero a queste organizzazioni di formarsi. I soldi dell’Occidente furono fondamentali per questo sviluppo. Ma fu necessario anche rendere partecipi il pubblico e i media sulle strategie politiche che si andavano sviluppando. Ciò avvenne in una maniera che solo ora si sta ripetendo nell’Europa Occidentale.
In questo senso quindi l’Est ha influenzato l’Ovest.