Professor Sapelli, Eugenio Scalfari, su Repubblica Milano di ieri, ha compiuto un’analisi del capoluogo lombardo, descrivendolo come una città “egoista”. Cosa ne pensa?
Milano non è solo quella che descrive Scalfari. È anche una città piena di riferimenti morali che ancora scrivono la sua vita morale. Basta vedere e rendersi conto quanto è importante è il volontariato, che esprime un desiderio fondamentale: rinnovare e dare un senso alle relazioni sociali e all’economia.
Scalfari dice anche che un sistema di potere come quello di Formigoni, Cl e Compagnia delle Opere non esiste altrove ed è più forte della mafia di Palermo…
Sono stupefatto di come un sistema non di potere ma di Governo come quello della Lombardia, che ha creato la migliore sanità in Europa, che ha messo in competizione in modo virtuoso risorse pubbliche e private, venga paragonato con la mafia.
Certo, ci sono stati alcuni isolati casi di corruzione e di decadenza etica, ma si tratta di episodi “patologici” e non “fisiologici”. Paragonare tutto ciò con la mafia di Palermo è sconcertante.
In cosa lo è maggiormente?
Nel sistema della mafia di Palermo manca totalmente l’autorità dello Stato e impera la violenza.
Ma in una città come Palermo operano comunque persone dotate di senso morale, così come a Milano. E il nucleo fondamentale di questo “rinnovamento” è la Chiesa cattolica.
Per esempio, uno dei capisaldi di questa resistenza morale alla perdita di senso nell’economia, che c’è stato anche a Milano per via della sua accesa finanziarizzazione, è stato anche la Chiesa e la consapevolezza che la ricchezza vera non viene dai beni materiali, come ha ricordato magistralmente Benedetto XVI.
C’è qualcosa che condivide dell’analisi di Scalfari?
Senz’altro la perdita di ruolo culturale e imprenditoriale della borghesia milanese. Milano in effetti ha perso quello slancio che la borghesia laica ed eroica (perché è stata anti-fascista) ha avuto nella sua storia.
Come fare per ritirarla fuori?
Devono pensarci i laici. Mi pare che se facessero meno weekend e si occupassero di più delle questioni importanti e di cui sono competenti tutti ne avrebbero beneficio. Non va poi dimenticato il ruolo dello studio e della filantropia, intesa nel senso più alto del termine.
Secondo lei questo decadimento si è avuto con la “Milano da bere” come ha detto Scalfari?
No. Il vero punto di snodo è stato il ’68, quando la borghesia ha perso la sua battaglia contro l’irrazionale nichilismo che ne è emerso. La borghesia laica ha visto i suoi figli marciare per strada e inneggiare a Stalin, a Mao, ai grandi dittatori, ha visto un fiume di violenza. Ha difeso i suoi figli per “interessi di classe”. Questo è stato il vero punto di svolta, non la Milano da bere di Craxi.
Gli episodi visti nella Milano da bere sono epifenomeni di quella crisi morale che inizia nel ’68, e che oggi è ancora latente, perché la battaglia con il ’68 non l’abbiamo ancora vinta.
È dunque una battaglia che interessa anche le attuali generazioni…
Certo, è la nostra battaglia. Quello che mi colpisce delle parole di Scalfari è che se c’è una forza tra i cattolici (che avrà commesso anche i suoi errori e avrà i suoi difetti), se c’è un movimento che ha cercato di elevare il dibattito culturale senza odio e cercando di superare il ’68, questo è Comunione Liberazione. È la forza morale più importante che c’è oggi a Milano e in Lombardia.