Finalmente! Alla fine quel vaso di coccio rabberciato che doveva essere l’opposizione di centro-sinistra, formata da PD e Italia dei Valori, si è rotto. Alla fine si è svelata la natura autentica di un accordo che non poteva che essere un mero cartello elettorale. E che alla fine si è rivelato un salvagente per Di Pietro ed una zavorra per Veltroni. Le differenze di stile, di linguaggio, di idee e di atteggiamenti si sono viste immediatamente. Con l’ex pm che ha voluto perseverare nell’essere l’urlante giustizialista d’un tempo e il PD alla ricerca di una sua identità, un po’ dialogante un po’ no.



Di Pietro aveva e tuttora ha un solo obiettivo: raggiungere il 10% dei consensi elettorali alle prossime elezioni europee, incarnando l’anima intransigente che le ultime consultazioni hanno escluso dal parlamento. La colpa, come è evidente a tutti, è anche di Veltroni, reo di aver sottoscritto un patto scellerato con IdV, di aver ondeggiato tra la politica della piazza e quella del palazzo. Col risultato che oggi il governo è più forte. Anzi, un governo in Italia non è mai stato così forte.



Rimane il peso delle ambiguità nel PD, questo è certo. La frattura tra i due partiti si consuma alla vigilia della manifestazione convocata per il 25 ottobre e alla quale ci sarà lo stato maggiore del partito dipietrista. Una circostanza imbarazzante quanto meno. Non si può avere tutto, questo è certo. E quindi non possiamo, per il momento, che accontentarci della notizia del divorzio, che farà bene al PD e al Paese. Occorrerà adesso tararsi rispetto alla strategia istituzionale da intraprendere, soprattutto per l’elezione del presidente della commissione di vigilanza sulla RAI e per quella del giudice costituzionale.



Accontentiamoci, per adesso. Poi vedremo che identità vorrà darsi un partito democratico sempre più solo. Così come aveva auspicato Veltroni.