Il Consiglio Europeo nel marzo 2007 ha stabilito ambiziosi e insensati obiettivi di politica energetica per l’Ue, che prevedono, per il 2020, il risparmio nei consumi energetici del 20% rispetto alle proiezioni tendenziali, il soddisfacimento del 20% dei consumi energetici con fonti energetiche rinnovabili (più una quota di almeno il 10% di biocarburanti nei totali consumi per trazione), e la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra di almeno il 20% rispetto al 1990. La direttiva, come è noto, è stata etichettata sotto la sigla 20-20-20 per il 2020.
L’obiettivo prioritario e chiave è quello della riduzione delle emissioni antropiche di gas serra, in particolare delle emissioni di CO2 dovute all’utilizzo dei combustibili fossili. Ciò sottintende, come scontato, che i cambiamenti climatici in atto ne siano una conseguenza. È questa l’ipotesi dominante nel mondo ambientalista, che ha fortemente influenzato l’opinione pubblica e conseguentemente i politici, impauriti di essere accusati di non voler salvaguardare l’ambiente. Ma nel mondo scientifico le posizioni sono molto più caute e non si può certo affermare che esista a riguardo un unanime consenso. D’altro canto l’ipotesi di un’evoluzione catastrofica del clima della Terra, che indubbiamente si sta riscaldando, è però piuttosto irrealistica. I dubbi a riguardo dell’effetto antropico sui cambiamenti climatici sono tanti e scientificamente forti e non bisogna mai dimenticare che la CO2 antropica costituisce solo il 3-4% del totale immesso in atmosfera, per cui il restante 97 o 96% deriva da processi naturali. È chiaro come una piccola perturbazione di questa seconda quota possa mascherare nettamente il contributo della prima, come mostra l’irregolare variazione annua della concentrazione di CO2 nell’atmosfera a fronte di una immissione antropica pressoché costante. C’è inoltre il sospetto che il sole giochi un ruolo più importante di quanto finora ipotizzato, visto che anche altri pianeti si stanno riscaldando.
Data, ma non concessa come sicura, l’ipotesi della causa antropica del cambiamento climatico, la logica che sottintende al 20-20-20 al 2020 non è certo chiara. Dietro a una direttiva così importante per la politica energetica europea doveva esserci uno studio approfondito della realizzabilità tecnica ed economica, senza dare per scontata una prevaricazione politica che può avvenire solo rinunciando ai meccanismi di mercato e con gravi ripercussioni in termini di costi per la collettività. Si ha invece l’impressione che questo slogan sia nato da una funambolica scelta del Consiglio Europeo finalizzata a colpire l’emotività della gente, senza neppure tener conto che i tre obiettivi sono strettamente interrelati e bisognava studiarne la dinamica congiunta per valutarne la congruenza.
L’Ue, che è responsabile di solo circa il 15% delle emissioni antropiche di CO2, quota destinata in futuro ad un forte ridimensionamento, non si capisce se solo per ragioni moralistiche si è avventurata da sola su questa strada con il risultato di apportare un contributo irrilevante al contenimento delle emissioni totali antropiche, e con almeno due gravi ripercussioni: la prima è la perdita di competitività per la sua economia, specialmente per le industrie “energy intensive”, la seconda è il rischio di rilocalizzazione di queste industrie in nazioni senza vincoli con il risultato di aumentare le emissioni mondiali di CO2.
Già con il protocollo di Kyoto l’Italia, non si sa se per ignoranza o per eccesso di zelo, non è stata capace di negoziare i limiti che ci sono stati imposti, con l’ovvia conseguenza di non poterli rispettare e di penalizzarci con un costo dell’ordine di 1,5 miliardi di euro all’anno. Ora non è pensabile che l’Italia riesca a perseguire gli obiettivi, velleitari e non commisurati alla reale nostra situazione comparata con altri paesi europei, che il precedente governo ha ipotizzato con il documento “position paper” per l’adesione al programma europeo 20-20-20. Le stime, pur prudenti (Iefe della Bocconi), prevedono un impegno di spesa di circa 90 miliardi di euro da ora al 2020 per rispettare quanto promesso nel “position paper”. Per compensare questi esborsi in conto capitale, che nessuno fa senza un minimo di garanzia, sarebbe necessario attivare incentivi a carico della collettività con una spesa compresa tra 10 e 20 miliardi di euro all’anno (27-55 milioni di euro al giorno). Non va inoltre dimenticato che la rinuncia al nucleare e una grave incidenza delle fonti rinnovabili non programmabili nell’assetto del parco elettrico nazionale configurano quest’ultimo come estremamente non affidabile, vulnerabile e molto costoso. C’è ben ragione per chiedere una revisione, anche se Sarkozy, presidente di un paese che copre con l’energia nucleare più del 75% del fabbisogno elettrico, terrebbe molto, come presidente di turno dell’Ue, a mettere la sua egida su un trattato, solo apparentemente, a difesa del pianeta.