A Palazzo Grazioli vi è l’abitazione romana privata di Silvio Berlusconi. Fino a prova contraria, qualunque cittadino – incluso il presidente del Consiglio pro tempore – in casa sua può invitare e ricevere chi vuole.
Se mai il premier, diramando le convocazioni per un confronto con le parti sociali a Palazzo Chigi, dovesse escludere un’importante organizzazione sindacale o una significativa associazione imprenditoriale, solo allora gli “assenti per forza” potrebbero lamentare un comportamento scorretto nei loro confronti. Le rimanenti – purtroppo – sono soltanto chiacchiere.
Nessuno ha fatto tanto clamore quando Walter Veltroni si è incontrato – separatamente – con Epifani per parlare della vertenza Alitalia o quando il leader del Pd ha voluto parlare con Emma Marcegaglia a proposito della trattativa sulla riforma della contrattazione. Se poi dovessimo scrivere la storia riguardante la prassi degli incontri informali, nel tempo e a ogni livello, non basterebbe un volume grosso come l’elenco telefonico della città di Roma.
In ogni caso, va detto che le critiche della Cgil e del Pd sono infondate, ma che certi rapporti sarebbe bene tenerli e svolgerli in un contesto di maggiore riservatezza. Restano poi i problemi di sostanza.
È chiaro ormai che l’unità d’azione sta andando a “farsi benedire”. Le strade delle confederazioni storiche si divaricano sempre più giorno dopo giorno. Non è detto però che si aprirà la prospettiva di un bipolarismo sindacale (due grandi raggruppamenti di sigle: una raccolta intorno a Cisl e a Uil e all’Ugl che si è garantita un posto a tavola); l’altra incentrata sulla Cgil, con vistose aperture verso il sindacalismo autonomo di cultura e prassi radical-corporativa.
L’avvio di tale processo non è nelle mani del Governo, il quale è tenuto a un principio di imparzialità della pubblica amministrazione latu sensu. Il pallino lo tiene la Confindustria.
La domanda a questo proposito è semplice: è in grado l’organizzazione di Emma Marcegaglia di stipulare un patto sulle regole che “regga” l’autoesclusione della Cgil? Oppure prevarranno quanti, all’interno della associazione di viale dell’Astronomia, temono gli effetti di quell’offensiva che la Fiom e la Cgil, se emarginate, promuoverebbero con ogni mezzo nei posti di lavoro?
La questione non è di poco conto. Già nel 2002, dopo la stipula del Patto per l’Italia (da cui si era autoesclusa la sola Cgil), vi furono veri e propri raid punitivi a livello aziendale (un po’ a macchia di leopardo, laddove le strutture della Cgil ne avevano la forza) che crearono parecchi problemi alle aziende prese di mira. Per non parlare, poi, dei rapporti tra i lavoratori che nelle fabbriche sindacalizzate potrebbero diventare molto conflittuali.
Se tuttavia dovessi fare delle previsioni non credo che dall’attuale situazione sindacale potranno derivare cambiamenti di carattere strutturale, proprio perché la Confindustria non troverà mai la forza e il coraggio di “rompere” con la Cgil e di andare avanti con le altre organizzazioni sindacali. Lo sbocco sarà quello di un immobilismo diffuso e permanente.
La Cgil non riuscirà a imporre le sue linee (anche perché la sua strategia è soltanto quella di contrastare comunque il Governo), ma potrà bloccare le iniziative altrui.
A onor del vero, chi ha tutto da perdere, in una prospettiva ravvicinata, da questa situazione è proprio il Pd. Per la prima volta, un grande partito sedicente riformista avrebbe la possibilità di un’alleanza strategica con tutto il movimento sindacale.
Il gruppo dirigente del Pd, per motivi tattici di lotta politica, ha privilegiato, invece, il rapporto con la Cgil, senza rendersi conto del fatto che ogni polemica che, da oggi in poi, scoppierà tra militanti sindacali, riguarderà, quasi sempre, elettori del Pd. È un autogol, compagno Veltroni.