Il vero vulnus è la sentenza del 2007. «La Cassazione ha deciso come se il testamento biologico fosse già in atto, ma in questo modo ha inventato una norma». E ha introdotto l’eutanasia in Italia. Lo dice a ilsussidiario.net il presidente emerito della Corte Costituzionale Antonio Baldassarre, dopo la decisione della Corte di Cassazione giovedì scorso sul caso Englaro.
Professor Baldassarre, qual è il suo commento sulla decisione della Cassazione sul caso Englaro?
Sono deluso ma questa pronunzia non mi sorprende. Il vero problema è la sentenza precedente, quella della Cassazione del 2007, quando si è deciso di risolvere il caso attraverso la ricostruzione della volontà di Eluana Englaro. Ma quella sentenza ha nientemeno che inventato una norma.
Cosa vuol dire “ha inventato una norma”?
Nella nostro ordinamento il testamento biologico non esiste e non è disciplinato. Un giudice non può non tenerne conto. Lo si sta facendo ora, ma la Cassazione ha deciso come se il testamento biologico fosse già in atto, dicendo quali sono i casi in cui deve valere il consenso dell’interessato. Ma in questo modo ha fatto una vera e propria, ma indebita, opera di legiferazione.
Siamo dunque arrivati all’eutanasia?
Certo. Con la sentenza precedente della Cassazione, fondata o non fondata. Il punto giuridico era capire se c’era o no accanimento terapeutico, invece la Corte di Cassazione ha scritto la norma.
Forse ancor più grave è stata la leggerezza con cui la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto di poter desumere la volontà chiara di Eluana dalla testimonianza di amiche e da sue affermazioni.
La Cassazione non solo ha confermato questo, ma ha pure detto che può valere l’orientamento ideologico di una persona per capirne la volontà; e questo è pazzesco. Prendiamo un ateo, oppure facciamo l’esempio di un cattolico iscritto ad un partito di sinistra: in base al suo orientamento ideologico, dovremmo dire senza esitazione che se si trovasse nelle condizioni di Eluana la sua opinione dovrebbe indurci a pensare che vuole la morte.
Cosa si può ancora fare?
Ora si sta lavorando alla legge, speriamo che a passare siano le proposte più equilibrate. Ma è triste aver visto che alcuni hanno accolto con entusiasmo l’ultima decisione della Cassazione come se si trattasse di un evento sportivo, mentre qui sono in gioco la vita delle persone e i loro diritti fondamentali.
Secondo Onida, il conflitto che le Camere avevano proposto davanti alla Corte Costituzionale contro la decisione della Corte d’appello di Milano «aveva come difetto fondamentale quello di pretendere di censurare una decisone giudiziaria», tanto che i giudici costituzionali hanno deciso il mese scorso che quel ricorso era inammissibile. Che ne pensa?
Non sono d’accordo, perché mi sembra che Onida confonda l’ammissibilità, che era il giudizio di cui si trattava, con il merito. Dire che il ricorso era la surrettizia impugnazione di una sentenza di un giudice è merito, cioè è uno modo di risolvere la controversia a partire dal suo contenuto; nella sentenza di un mese fa il problema era se il conflitto era ammissibile o no, e quindi si doveva semplicemente valutare se c’erano delle competenze costituzionali potenzialmente lese – e c’erano, perché da un lato c’era la funzione legislativa e dall’altro la funzione giurisdizionale – e se i soggetti potevano considerarsi poteri dello Stato – e non c’è dubbio che la Corte di Cassazione e il Parlamento lo sono e quindi il giudizio era ammissibile.
I giudici possono aver preso decisioni sulla base di un vuoto normativo? Sempre Onida ha dichiarato che «non ci sono quasi mai vuoti normativi. Ci sono principi costituzionali e internazionali in base ai quali il giudice decide. Il merito della questione – continua Onida – ha riguardato i principi e le condotte concrete da seguire per il caso di Eluana. Se il Parlamento ritiene di avere le idee chiare sul testamento biologico, allora faccia la legge».
Neanche in questo caso sono d’accordo. Quando non ci sono norme, il giudice decide sulla base delle norme esistenti; non può partire da un principio e formulare lui la regola del caso concreto, perché in tal caso diventa legislatore. Un principio dà un orientamento di massima: ci sono tanti principi costituzionali che se non sono svolti dal legislatore non possono essere applicati dal giudice. E quindi la visione di Onida è la visione di uno Stato dei giudici, cioè di giudici che fanno le norme, le applicano e ne sono essi stessi garanti. Ma questo non è il nostro ordinamento. Alla sua base c’è una concezione del potere giudiziario che non è quella di uno Stato democratico.