Il “taglio” delle Province era e rimane una promessa elettorale: tutti i partiti si proclamavano favorevoli all’abolizione delle Province, ma a distanza di 7 mesi dalle elezioni, in Parlamento ancora non si è visto nulla.

Nel 2007 le Province in Italia raggiungevano il numero di 107; ben 12 nuove Province sono state istituite nell’arco di 13 anni tra il 1992 e il 2005. La creazione delle ultime dodici Province ha interessato solo il 6% dei Comuni italiani, ma, contemporaneamente, il numero delle Province è aumentato di quasi il 13%.



Questa tendenza alla frammentazione amministrativa–territoriale non sembra essersi fermata: al contrario, nelle ultime legislature sono state presentate varie proposte di legge finalizzate a istituire nuove Province.

La politica ha un costo, che si evidenzia proprio laddove vi sia difficoltà a vederne i benefici; raramente, però, è stato mostrato il costo politico delle amministrazioni provinciali.



Si possono definire “costi politici” tutte le spese necessarie a remunerare l’attività del politico: ai fini della presente analisi sono considerati “uomini politici provinciali” i Presidenti di Giunta, i Vice Presidenti, gli Assessori, i Consiglieri e i Presidenti del Consiglio.

Si noti che non vengono considerati gli esborsi per le consulenze, che potrebbero essere affidate (direttamente o indirettamente) a personaggi politici risultati non eletti. I puri costi della politica provinciale sono di circa 115 milioni di euro l’anno; più di 4.200 politici vivono in gran parte della (e per la) politica: in media ogni Provincia costa al cittadino 1,1 milioni di euro l’anno.



Ogni figura politica ha il suo costo: il range è compreso tra i 62 mila euro l’anno di un Presidente di Giunta e i 21 mila di un Consigliere provinciale. In media ogni politico ha un costo di 27,4 mila euro.

Nel biennio 2001/2002 i trasferimenti di risorse finanziarie alle Province sono incrementati significativamente, ciò è accaduto in corrispondenza dell’attribuzione alle amministrazioni provinciali di alcune (limitate) competenze in materia di gestione del mercato del lavoro e delle strade ex Anas. Complessivamente, nel 2005 le entrate raggiungevano i 16 miliardi di euro, mentre le uscite si attestavano a 16,5 miliardi di euro.

Le conseguenze nefaste della moltiplicazione delle Province sono esaurientemente esemplificate dal caso sardo, che, negli ultimi anni, ha conosciuto un’incredibile proliferazione di tali enti. Nel solo 2005, infatti, sono state create ben quattro nuove Province (Carbonia Iglesias, Ogliastra, Medio Campidano e Olbia Tempio).

Analizziamo con più attenzione la nuova Provincia di Carbonia Iglesias: essa risulta composta da Comuni tutti facenti precedentemente parte della Provincia di Cagliari. Nel febbraio del 2007 erano presenti 50 impiegati della Provincia, 8 assessori e ben 24 consiglieri provinciali oltre al Presidente; erano inoltre presenti 8 impiegati degli organi istituzionali: ciò significa un incredibile rapporto di 2 politici per ogni 3 impiegati, poi abbassatosi, nel gennaio 2008, a 1 politico ogni 3 impiegati. Non solo: al febbraio del 2007 esistevano addirittura assessorati privi di dipendenti. Questa stravagante sovrabbondanza di politici si ripercuote seriamente sul bilancio della Provincia di Carbonia Iglesias, che nel 2007 ha registrato spese per circa 30 milioni di euro.

Ma ecco il dato più interessante e più significativo: siccome la Provincia di Carbonia Iglesias comprende solo Comuni precedentemente ricompresi nel territorio della Provincia di Cagliari, saremmo legittimati a immaginare che, dopo la “separazione” del 2005, le spese della rimpicciolita Provincia di Cagliari abbiano registrato una flessione, o, quanto meno, una seria stabilizzazione. Invece, la Provincia di Cagliari presenta un trend esattamente contrario: poiché nel biennio 2005-2007 le spese sono passate da 133 a 171 milioni di euro.

Moltiplicare le Province, insomma, significa innanzitutto moltiplicare i costi sulle spalle dei contribuenti, senza alcun beneficio per l’efficienza dell’amministrazione pubblica.

A fronte di tutto questo denaro sottratto a piene mani dalle tasche dei contribuenti, infatti, quali sono le competenze delle Province? In parole povere: nel panorama istituzionale contemporaneo le Province cosa ci stanno a fare?

Se si ponesse tale domanda al cittadino di media cultura si può facilmente supporre che non avremmo risposte soddisfacenti o, più semplicemente, non avremmo risposte. D’altra parte il (buon) senso comune percepisce da tempo l’inutilità di un ente di cui non si conosce praticamente nulla: si sfida il lettore, infatti, a ricordare il nome di un assessore qualunque appartenente alla giunta della Provincia in cui risiede.

Ebbene, dopo l’istituzione delle Regioni, i compiti delle Province sono stati ricavati attraverso una sapiente opera di “ritaglio” normativo e, di fatto, permangono in veri e propri “interstizi” spesso ignoti agli stessi giuristi. In via del tutto generale, si può ricordare che le principali funzioni attribuite alle province consistono nella gestione di molte strade locali, nell’amministrazione di parte dell’edilizia scolastica, in alcune minime attribuzioni in materia di lavoro, nonché nella generica (quanto fumosa) “promozione del territorio”.

Ora, se nessuno nega che esistano determinate esigenze di area vasta, e che queste non possano essere svolte esclusivamente dai Comuni, non si vede alcuna ragione di istituire un ente locale ad hoc proprio per attendere a tali esigenze.

Al contrario, le funzioni attualmente svolte dalle province potrebbero essere agevolmente compiute, in buona parte, dalle Regioni e, in altri casi, dai Comuni con il coordinamento e la supervisione delle Regioni. Più precisamente, si può immaginare che ogni Regione sviluppi un proprio quadro giuridico entro il quale i Comuni possano liberamente organizzarsi, anche tramite accordi di diritto pubblico, per la gestione di servizi e la soluzione di problemi locali: da un lato, ciò produrrebbe un approccio di politica pubblica finalmente “elastico”, plasmabile in funzione dei bisogni di ogni singola comunità locale; dall’altro lato, scomparirebbe un’intera categoria di politici di cui l’Italia farà tranquillamente a meno.

Non solo: l’abolizione dell’ente-Provincia non significherebbe il licenziamento degli impiegati provinciali, i quali verrebbero proficuamente ricollocati negli organigrammi regionali e comunali. Ciò permetterebbe, allo stesso tempo, che le professionalità acquisite in decenni di amministrazione provinciale non vengano dissipate e che Comuni e Regioni vengano immediatamente posti nelle condizioni migliori per attendere alle competenze attualmente svolte dalle Province.

Sembra di sentire l’obiezione a questa idea di riforma: è troppo complessa perché serve una legge costituzionale. È vero, ma la complessità non è una buona ragione per impedire una semplificazione istituzionale e un risparmio strutturale di cui l’Italia ha, ora più che mai, vitale bisogno.