È unanimemente condiviso che gli investimenti in infrastrutture rivestono un ruolo strategico all’interno dello sviluppo sociale ed economico di un Paese.
L’Italia si è contraddistinta storicamente per un ritardo infrastrutturale rispetto ai partner europei, ritardo che assume caratteri particolarmente marcati nel confronto tra i sistemi di trasporto. A ciò si aggiunga che un ampio divario si rileva anche tra le varie parti del Paese, il che comporta elevati rischi di marginalizzazione delle aree periferiche.
Nel medio e lungo periodo, infatti, l’efficienza infrastrutturale si traduce in importanti risparmi di costi e di tempi con evidenti vantaggi di produttività per le aziende e di ottimizzazione dei tempi di spostamento per i lavoratori. Nel breve periodo, gli effetti occupazionali che si producono nella fase di cantiere, costituiscono una rilevante opportunità per le aree più svantaggiate.
La seduta del Cipe (inizialmente prevista per oggi, ma rinviata a mercoledì prossimo) dovrebbe dare il via libera all’utilizzo di un importante fetta del Fondo Aree Sottoutilizzate, e una o più delibere indicheranno dove indirizzare tali fondi, per un totale stimato di 12,7 miliardi di euro, di cui 7,3 alle infrastrutture di trasporto. La delibera non dovrebbe invece contenere il dettaglio delle opere cui destinare i fondi, ma solo la scadenza (2 mesi) entro cui i ministri competenti sono tenuti a presentare al Cipe le delibere di ripartizione.
Il rilancio del tema infrastrutturale si sposa con la necessità di varare urgentemente una politica economica anticiclica. Per questo nuovo programma di interventi è possibile individuare due elementi di novità: il primo è la forte concertazione attuata tra i Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Economia e la Presidenza del Consiglio, mentre il secondo dovrebbe (il condizionale qui è d’obbligo) essere la forte selezione e il numero limitato di opere cui destinare i fondi. Ci si è finalmente resi conto che, soprattutto nel campo infrastrutturale, non è possibile destinare fondi a pioggia, ma si deve concentrare gli sforzi sulle opere certamente essenziali per il Paese.
Da quanto emerso al momento sorge comunque una certa perplessità, inerente il fatto che gran parte di queste opere siano stradali e autostradali, mentre non sembra trovarsi ancora una soluzione certa al finanziamento delle linee ferroviarie e delle tratte italiane degli assi di collegamento con l’Europa. Né sembra essere stato ben delineato il criterio di scelta delle opere cui spetteranno i finanziamenti.
Tale contesto aiuta comunque a comprendere la crescente pressione che negli ultimi anni è stata attuata a livello nazionale per il recupero del gap in questo specifico settore e che, accompagnata dal tenace tentativo di contenimento della spesa pubblica, ha richiesto, e sta tuttora richiedendo, un’evoluzione normativa e operativa delle modalità di finanziamento degli interventi.
Pertanto, per finanziare le infrastrutture di trasporto dotate di un’intrinseca utilità economica, sarà necessario affiancare alla contribuzione pubblica, alcuni strumenti innovativi a elevato potenziale in termini di contenimento della spesa pubblica stessa, oggi in fase di sperimentazione o di studio, quali ad esempio, solo per citarne alcuni, la “cattura del valore” generato per il territorio da un’infrastruttura di trasporto, l’imposizione fiscale mirata o l’applicazione di forme di finanziamento cross modal.
In ogni caso, comunque, sarebbe utile se questo piano diventasse il primo atto di una nuova politica delle infrastrutture da realizzarsi con criteri innovativi sia in ambito procedurale, sia di selezione dei progetti, sia infine di reperimento delle risorse necessarie.