Nel giorno della riunione del coordinamento nazionale, il Partito democratico ha subito un duro colpo: Renato Soru, Governatore della Sardegna, ha presentato le sue dimissioni dopo uno “scontro” interno alla maggioranza di centrosinistra.
Abbiamo chiesto a Stefano Folli, editorialista de Il Sole 24 Ore, un parere sulla situazione politica italiana, tenuto anche conto del percorso che la maggioranza sta compiendo verso la nascita del partito unico.
Che opinione ha riguardo al “caso Soru”?
Non c’è dubbio che quello della Sardegna sia un problema tutto interno al Pd. Resta da capire quanto Soru sia prioritario per la strategia di Veltroni e quanto invece si decida di lasciarlo al “gioco” delle correnti. Mi sembra che le sue dimissioni non siano definitive, e che ci sia lo spazio per un chiarimento, sempre che il “centro” del Partito Democratico decida di sostenerlo. Sarà una nuova prova per vedere chi esercita la leadership all’interno del partito.
Soru è davvero così importante per Veltroni?
Soru è senz’altro un personaggio “scomodo” per il tipo di politiche che ha fatto, ma è portatore di una carica innovativa molto forte, che Veltroni ha dato anche l’impressione di apprezzare in un primo tempo. Più in generale ritengo che ci siano due questioni di fondo nel “caso Soru”.
Quali sono?
La prima è che tutti i dibattiti, le polemiche e le incomprensioni all’interno del Pd sono sempre e soltanto all’interno degli ex Ds (semplificando possiamo dire tra veltroniani e dalemiani). Questo è un colpo terribile all’immagine del partito nuovo. Per questo ritengo che Soru rappresenti un personaggio abbastanza innovativo, e mi stupirei se Veltroni non facesse una battaglia fino in fondo per sostenerlo. Perché è un personaggio che non deve lasciarsi scappare.
Qual è invece l’altra questione di fondo?
I messaggi politici che arrivano dal vertice del Partito Democratico sono sempre contradditori, persino sulla collocazione internazionale (basti pensare al dibattito sull’opportunità o meno di entrare nel Partito Socialista Europeo). Questo sconcerta molto l’opinione pubblica e l’elettorato.
Il Pd dovrebbe comunicare con chiarezza che strada vuole intraprendere, che proposte vuole fare. Invece non è così. Anche nel rapporto con la Cgil c’è ambiguità. Si capisce che il vertice non è entusiasta dello sciopero generale proclamato da Epifani, ma non ha il coraggio di dichiararlo apertamente.
Come vede invece la situazione della maggioranza? Il Governo sembra perdere consensi e la scorsa settimana si è assistito a un nuovo passaggio verso la nascita del partito unico…
È difficile che in una situazione di grandissima difficoltà economica come questa un Governo possa godere di ottima salute. Da questo punto di vista Berlusconi ha goduto di sei mesi eccellenti, non mi stupisce questa attuale difficoltà. Credo che ne avrà di più l’anno prossimo.
Venendo alla questione del partito unico, mi sembra che sia una strada obbligata, ma occorrerebbe davvero porsi il problema di una serie di regole di democrazia interna. È una questione fondamentale.
Per quali ragioni?
Mi sembra che la tendenza (forse inconscia) di Berlusconi sia quella di presentare il partito unico come un’evoluzione di Forza Italia che ingloba poi altri pezzi del sistema politico.
La notizia della nascita del partito unico è stata data dal famoso predellino di un’automobile, poi è stato dato un annuncio sbrigativo dello scioglimento di Forza Italia, e non vengono mai citati gli alleati come partner di questo processo che sfocerà nel nuovo partito. Tutto questo non mi suona molto bene, vedo dei rischi.
Quali?
Credo che ci saranno pericoli e rischi a livello locale, dove Alleanza nazionale ha dei centri di potere medi e piccoli e dove non sarà facile integrare i vari “spezzoni” e fonderli nel nuovo partito.
Per questo ritengo che Berlusconi dovrebbe condurre questo processo inevitabile, pensando un po’ più all’articolazione di questo nuovo partito e anche alle sue regole interne di democrazia e non soltanto come una proiezione del suo notevole carisma personale. Se si è così ambiziosi da voler creare un soggetto politico nuovo, protagonista del bipolarismo, bisogna dotarlo di strutture e di solidità anche regolamentare. Tutto questo mi sembra ancora mancare.
Intravvede ancora possibilità di dialogo tra i due schieramenti?
Il dialogo è possibile, ma è un po’ difficile. Credo che ci siano notevoli difficoltà sia da una parte che dall’altra a scegliere in maniera decisa e convinta la via del dialogo, anche perché non è ancora chiaro a cosa deve portare questo dialogo. Ci sono proposte che mi sembrano irrealistiche, come quella di Veltroni di creare a Palazzo Chigi un tavolo cui siedano maggioranza, opposizione e parti sociali per discutere delle politiche economiche.
Cosa si potrebbe fare allora?
Si potrebbe, per esempio, discutere e approfondire temi che riguardano il funzionamento delle istituzioni. Sotto questo profilo trovo che Fini faccia bene a porre il problema del rilancio di un processo riformatore istituzionale, pensando che il bipolarismo ha bisogno di regole, che noi non abbiamo ancora.
Cosa pensa invece del “caso Villari”, che sembra riproporci un “vecchio” sistema politico di “attaccamento alla poltrona”?
Ritengo che abbiamo il bipolarismo, a cui però non corrispondono ancora delle regole unanimemente accettate; soprattutto non c’è un fair play parlamentare. Forse quando parliamo di dialogo dovremmo accorgerci della mancanza di un reciproco rispetto in Parlamento.
In questo vuoto si inseriscono casi come quello di Villari, il quale, sullo sfondo di un braccio di ferro assurdo durato per mesi (anche per una serie di errori commessi da Veltroni che si è lasciato trasportare un po’ troppo da Di Pietro), ha trovato spazio per un gioco personale, anche legittimo, dato che la sua elezione è legittima, seppur figlia di un quadro confuso dal punto di vista istituzionale.
Cosa prevede che accadrà in questa vicenda?
Ora siamo fermi in una situazione un po’ ridicola. Il comportamento di Villari è certamente riprovevole, ma è giustificato dal fatto che c’è una indefinita situazione dal punto di vista politico-istituzionale, non c’è la volontà di riconoscersi e rispettarsi reciprocamente.
Ritengo che Villari non si dimetterà a breve, ma la commissione (che penso che conti poco e che sia forse anche superflua) difficilmente potrà funzionare in queste condizioni.