La volontà di drastica rottura con la politica di Bush che ha portato Obama a una vittoria completa anche a livello di Congresso sembra essere vissuta a sinistra come una sorta di “arrivano i nostri”.
Certamente il nuovo inquilino della Casa Bianca non lo vedremo in visita amichevole a Villa Certosa. Ma pensare a un meccanico “effetto Obama” sull’elettorato italiano è un’ipotesi simile a quella che interpreta la vittoria di Berlusconi come il risultato del suo potere televisivo: un eterno diabolico gabinetto del Dottor Caligaris che incombe su un cosiddetto “popolo di sinistra” che si considera il Buono, il Giusto, il Bene, il Bello, il Vero e non riesce quindi a capacitarsi di essere respinto se non da deficienti e disonesti.
Che – nonostante le sorridenti dichiarazioni governative – vi saranno cambiamenti sostanziali nella politica estera degli Stati Uniti è però indubbio: basta leggere i commenti iraniani.
Il primo “effetto Obama” è quindi da registrare soprattutto a sinistra in quanto in queste ore sembra scomparso l’antiamericanismo e lo stesso “antimperialismo”. Barack Obama è accolto come una gigantesca colomba della pace che ha preso il volo da Oltreoceano per essere applaudita in tutte le parti del globo.
In effetti la promessa di una politica di “diplomatizzazione” e l’archiaviazione dell’“unilateralismo” delineano una prospettiva che non promette nuovi interventi militari e nessun altra “esportazione della democrazia”: il tribunale dell’Aja non avrà altri Milosevic di cui occuparsi.
L’interrogativo riguarda appunto se il terrorismo e il fondamentalismo aggressivo – l’11 settembre – siano stati “ad personam” verso George W. Bush o se comunque, pensando così di far cessare le ostilità contro gli americani, la nuova leadership Usa accetti di ridimensionarsi secondo un relativo “isolazionismo”.
Il ritiro dall’Iraq può aprire la strada ad una maggior influenza iranian-fondamentalista? Israele può essere lasciata sola?
Obama è una drastica rottura con Bush, ma questa “Altra America” sarà ancora una grande potenza economica e militare con di fronte altre potenze con mire espansionistiche sia pur ancora solo a livello “regionale” e degli stati immediatamente confinanti.
La “luna di miele” tra Obama e quella parte della sinistra italiana che agita ancora Che Guevara non ha verosimilmente un gran futuro. Barack Obama è il primo presidente nero, ma non il primo presidente antiamericano.
Si riproporrà quindi nel centro-sinistra italiano la divaricazione tra “antagonisti” e “riformisti” proprio là dove finora era stata meno eclatante e tenuta più facilmente sotto il tappeto: la politica estera.
Il centro-sinistra ha molti esponenti in grado di interpretare in modo convinto e coerente questa nuova fase che apre la politica americana. Si tratta di saper sciogliere due nodi.
Il primo riguarda il fatto che “fare gli Obama” porta a una rottura non occasionale (un ordine del giorno sul rifinanziamento di una missione) con la sinistra radicale. Il secondo è quello di evitare di pensare di poter scavalcare l’attuale governo che facendo buon viso a cattivo gioco ha già messo in atto (e non da oggi) una molteplicità di correzioni e di aggiornamenti (come è già accaduto, ad esempio, per i rapporti con la Spagna di Zapatero).
Torna d’attualità l’archiviata scelta di procedere secondo “vocazione maggioritaria” e di misurarsi sui contenuti politici con il governo cessando di contrastarlo come forza demoniaca parlando sempre di televisioni, processi e fascismo.
Obama avrà anche un suo “effetto” sul centro-destra e soprattutto – quel che più conta – a livello europeo. Potrà l’Europa con i problemi posti da recessione, crisi finanziarie e nuova politica estera Usa essere un’Unione di Venticinque in balìa delle prossime deboli “presidenze di turno”? Dopo Sarkozy il ceco. Una stabilizzazione e un nucleo “duro” hanno già iniziato a prender forma di fronte alle turbolenze dei mercati e una “nuova Europa” si sta formando intorno all’euro e con la Gran Bretagna.
Questo è un primo terreno di rapporti e di soluzioni su cui una sinistra riformista deve scendere. La vittoria di Obama porta infatti in primo piano il rapporto con gli altri principali interlocutori del Vecchio Continente. Oggi sono Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e Gordon Brown.
Illudersi di avere un “amico americano” – peraltro già in sospetto di “isolazionismo” – che interferisca nella politica interna italiana per aiutare una minoranza significa ragionare ancora in termini di “Guerra fredda”. Che qualche Kennedy si faccia vedere a qualche festa può darsi, ma meglio non confondere Lapo Elkan con Gianni Agnelli.