Dopo giorni di scontro, e una situazione di stallo istituzionale che aveva suscitato la forte preoccupazione e l’intervento diretto del Presidente della Repubblica, da ieri è pace fatta fra la Procura di Salerno e quella di Catanzaro, che hanno stabilito il dissequestro degli atti giudiziari. Un epilogo felice che chiude definitivamente una crisi limitata nel tempo?



Non si direbbe affatto, a sentire il Sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano. L’anomalia, non risolta con la pace di ieri, consiste innanzitutto il fatto che quella che dovrebbe essere «prassi», cioè un rapporto di reciproco rispetto fra due Procure, diventa invece «notizia».

Sottosegretario, perché non la soddisfa quello che è accaduto ieri, e che ha posto fine a giorni di scontro giudiziario tra Salerno e Catanzaro?



Quello che registro è semplicemente il fatto che costituisce notizia quella che dovrebbe essere una prassi consueta per tutti gli uffici giudiziari inquirenti: quando hanno indagini collegate o hanno una reciproca connessione, gli uffici trovano normalmente un punto di intesa, piuttosto che perquisirsi e denudarsi a vicenda. Ora, invece, quello che è ordinaria amministrazione diventa notizia. E questo accade dopo aver assistito agli eventi traumatici che tutti conosciamo, e addirittura dopo un intervento del Capo dello Stato e una seduta straordinaria del Csm. Mi pare insomma che la notizia non contribuisca ad attenuare la gravità del quadro complessivo.



Qual è allora la crisi che c’è dietro questo episodio e che non si risolve con un accordo che era necessario trovare prima?

Questo episodio è la spia rivelativa – una delle tante, sebbene quella con maggiora evidenza negli ultimi tempi – della frantumazione di un dogma, quello secondo cui la magistratura riesce a badare a se stessa in nome di una autoreferenzialità che nessuno può mettere in discussione. Questo è un dogma che sembrava intoccabile fino a poco tempo fa; e ad ogni sforzo da parte del legislatore di introdurre qualche regola più stringente sul piano deontologico per i magistrati, si reagiva sempre gridando, in nome dell’attentato all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, e adducendo il fatto che la Costituzione aveva previsto organi di autotutela che al tempo stesso erano organi di autogoverno. Ora, una serie di episodi, come quelli registrati nel tratto di strada che separa Catanzaro da Salerno, sono la smentita clamorosa di questa argomentazione. Questo porta una conclusione: è necessario un soggetto terzo, che certo non si inserisca nella sfera della giurisdizione, ma che ponga regole alle quali la giurisdizione deve adeguarsi e che valuti soprattutto – ed è questo il punto più importante – la deontologia dei magistrati da una posizione diversa da quella attuale.

Come funzionerebbe e quali sarebbero le finalità di questo “soggetto terzo”?

Oggi uno dei nodi critici è che il rispetto delle regole deontologiche dei magistrati è affidata a una articolazione del Csm, la Commissione disciplinare, che come tutto il Csm viene eletta con criteri di equilibrio fra correnti. Il risultato è profondamente negativo, ed è sotto gli occhi di tutti: solo chi non è protetto da correnti subisce una sanzione disciplinare. A parte poche eccezioni, questa è la regola. Il primo passo da fare, a mio avviso, preso atto per iniziativa interna alla stessa magistratura che questa autoreferenzialità non solo non ha mai funzionato in sostanza, ma ora non funziona più nemmeno in apparenza, è istituire una Corte di giustizia disciplinare che sia totalmente svincolata dal Csm. Questo lo proponeva la Bicamerale di D’Alema, lo proponeva Violante, lo proponeva il senatore Caruso di An: cito fonti diverse per sottolineare un’esigenza che è stata nel corso degli anni sentita da differenti schieramenti politici.

Oltre alla valutazione dei magistrati, ci sono anche ulteriori problemi procedurali: in questa guerra tra Procure si sono visti addirittura decreti di perquisizione di 1700 pagine. Cosa si nasconde dietro anomalie del genere?

È una stortura che non si ritrova solo nei decreti di perquisizione, ma anche, ad esempio, nei decreti che autorizzano le intercettazioni telefoniche, o addirittura nei decreti di archiviazione, dietro cui si celano finalità evidentemente strumentali. Con i decreti di archiviazione, ad esempio, pur prendendo atto che il soggetto indagato non ha nessuna responsabilità, si diffondono comunque le intercettazioni telefoniche o ambientali che lo riguardano; quindi quello che dovrebbe essere una fonte di prova a carico, di cui non tener conto nel momento in cui si archivia la posizione di un soggetto, diventa comunque uno strumento per infangarne l’onorabilità. Per “mascariarlo”, come si dice con termine siculo che mi pare calzi bene. Anche da questo punto di vista si avverte l’assenza di una giustizia disciplinare seria. Venticinque anni fa, quando sono entrato in magistratura, uno degli insegnamenti più diffusi era quello di seguire un criterio di congruità tra la motivazione e il dispositivo. Questo criterio è saltato negli ultimi anni, secondo logiche assolutamente strumentali.

La conseguenza inevitabile dello spettacolo dato da Procure che si attaccano reciprocamente è che i cittadini non si sentono sicuri: come rispondere a questa crisi di fiducia?

Si risponde evitando di fare gli arbitri dello scontro, e di parteggiare per l’una o per l’altra parte, ma introducendo regole che impediscano scontri di questo tipo. Quindi, in conclusione, varando finalmente una riforma che è ormai un’esigenza avvertita da tutti. Non solo da tutti gli schieramenti, in quell’ottica bipartisan di cui parlavo prima, ma avvertita da tutti i cittadini.