Onorevole Pecorella, le chiedo innanzitutto un commento sulla vicenda dello scontro fra le Procure di Salerno e Catanzaro: un episodio isolato, o il sintomo di una crisi più ampia?

Isolato non lo è, dal momento che sono anni che la magistratura interviene nella vicende politiche, cambiando o cercando di cambiare governi, e mandando a casa politici e parlamentari. Solo che questa volta la vicenda ha assunto caratteristiche più eclatanti che finalmente hanno fatto riflettere, dal momento che ci siamo trovati di fronte a uno scontro incrociato fra Procure. E dietro tutto questo c’è l’aspetto politico, visto che si è trattato di un processo che ha coinvolto uomini del precedente governo. Il virus della politica, che a nostro avviso ha inciso sulla rinascita e sulla formazione di una classe politica e di una nuova repubblica, ha finito per infettare la magistratura stessa.



In un’ottica di riforma della magistratura, ora bisogna puntare sulla riforma del processo penale per dare efficienza e per garantire sicurezza della pena, oppure guardare a una riforma complessiva, ad esempio con la separazione delle carriere?

Io farei un paragone tra il motore di un automobile e il carburante: se il motore non funziona, possiamo mettere il carburante con tutti gli ottani di questo mondo, ma il motore continua a non funzionare. Siccome chi fa funzionare il processo e il sistema giudiziario è la magistratura, allora bisogna partire dalla riforma della magistratura per far sì che i processi civile e penale possano avere maggiore efficienza e celerità. Avendo una magistratura in cui il pubblico ministero non vada alla ricerca della notizia di reato che appaia più clamorosa, o che spenda, come accaduto negli anni passati, le migliori energie per mettere sotto inchiesta il presidente del Consiglio; avendo una magistratura che non mandi nei posti di responsabilità delle procure o dei tribunali coloro che sono sostenuti dalla corrente più agguerrita o più forte; avendo insomma una magistratura che torni a essere semplicemente – anche se semplice non è – uno strumento di buon funzionamento della legge, allora questo sarebbe un passaggio decisivo per ottenere anche, di conseguenza, una migliore efficienza.



Quindi non ritiene immediatamente necessaria una riforma del processo penale?

Si possono fare anche le riforme del processo penale. Ma quello che mi domando è come mai in Italia non ha funzionato il processo né quando avevamo il processo inquisitorio, né quando avevamo il processo accusatorio, né quando via via abbiamo fatto sempre nuove modifiche. Tutto questo deve avere una risposta. E non mi si dica che dipende dal fatto che i magistrati non hanno i mezzi adeguati, perché, facendo un paragone con l’Europa, gli investimenti e il numero dei magistrati sono in linea con quelli degli altri Paesi. Quindi c’è qualcosa di congenito che non funziona.



Qualche esempio in particolare?

Tanto per cominciare, non funziona l’azione penale obbligatoria: apparentemente il pm si dovrebbe occupare di tutto, ma dal momento che questo non è possibile ne consegue che non c’è nessuna selezione e gradazione di priorità. Ecco allora che il pubblico ministero ha un ottimo alibi per dire: non posso occuparmi di tutto, e non ho quindi nessuna responsabilità per il fatto di scegliere alcune cause al posto di altre. E poi, soprattutto, c’è un Consiglio superiore della magistratura che non ha capacità di controllo preventivo.

Quindi ritiene utile una riforma del Csm: ma come muoversi in questo campo così complesso?

Il Csm innanzitutto non è un organo di autogoverno, ma è diventato un organo di autotutela, nel senso che essendo costituito in prevalenza da magistrati, la presenza di soggetti scelti dal parlamento praticamente non ha alcuna incidenza. Quindi credo che si debba mantenere una forma di autogoverno, ma con persone, magari anche elette dal popolo, o comunque elette dal parlamento, ma certo in numero più consistente, di modo che ci sia un equilibrio tra gli interessi corporativi e gli interessi generali del Paese. Secondo punto, non è più pensabile, anche a prescindere dalla separazione delle carriere, che siano mischiati come se fossero tutti uguali componenti che arrivano dalla procura della repubblica, e ad essa legati, con elementi che provengono invece dalla giurisidizione, cioè i giudici. Devono avere necessariamente prospettive e interessi diversi: quindi con legge ordinaria, già da oggi, bisogna creare due sezioni distinte, una per i giudici e una per i pubblici ministeri. Infine ci vuole la regola che chi partecipa a decisioni in materia disciplinare non deve anche partecipare alle commissioni che si occupano delle assegnazioni di incarichi: in prospettiva, infatti, se il nemico della corrente deve essere promosso, basta un’azione disciplinare o una censura per creare un peso determinante per quanto riguarda l’assegnazione dell’incarico o la promozione.

I presidenti di Camera e Senato auspicano una riforma condivisa: le sembra una prospettiva  possibile?

Sono molto pessimista su questo. Nel momento in cui la senatrice Anna Fiocchiamo pone dei paletti pregiudiziali dicendo che «la Costituzione non si tocca», visto che evidentemente alcune delle riforme organiche passano inevitabilmente anche attraverso la riforma della Costituzione, significa allora far finta di voler dialogare, ma in realtà avere tutte le intenzioni di lasciare le cose come stanno. Poi bisogna pensare che la Finocchiaro è un ex magistrato, così come anche D’Ambrosio, Casson, Tenaglia (che è anche ex membro del Csm): quindi la politica giudiziaria del Pd la fanno i magistrati. Ecco perché io non credo alla sincerità del dialogo. Dopodichè, ben venga il dialogo, se invece i fatti dovessero volgere al meglio.