L’“armistizio” raggiunto nella guerra tra le procure di Salerno e Catanzaro solleva ulteriori interrogativi sulle logiche che governano un potere corporativo e autoreferenziale, e rende ancor più necessaria una riforma del pianeta giustizia, e in particolare della magistratura. Contrario, come lo è sempre stato, alla distinzione delle carriere, ma favorevole ad una riforma del Csm, l’ex presidente della Camera Luciano Violante non nega alla classe politica la responsabilità di aver «consegnato alla magistratura un enorme potere di condizionamento e di governo». La riforma della giustizia? «Va fatta in un quadro di  riforme costituzionali complessive».



Onorevole Violante, lo scontro tra procure – ora almeno temporaneamente risolto – ha mostrato un conflitto tra soggetti autonomi e indipendenti, autoreferenziali. Cosa fare?

Non ci sono ricette specifiche, ma c’è senz’altro bisogno di senso dello Stato da parte di tutti. La vicenda è cominciata per la mancanza di senso di equilibrio, direi, da parte dei magistrati protagonisti… poi non so se il modo in cui si sta ricomponendo il conflitto sia quello più giusto. In sostanza, lasciare ad un agreement tra le procure, come se si trattasse di cose da gestire come accordi – mi si passi il termine – di potere, e non come applicazioni di regole fondate sul principio di legalità, desta senz’altro qualche sconcerto. Comunque, quando qualcosa è cominciata male, è difficile che finisca bene.



Lei ha parlato, nella sua recente intervista al Corriere, di “potere invasivo” dei pm. Dove finisce l’indipendenza e dove comincia l’autoreferenzialità della magistratura?

Abbiamo assistito ad un tipico episodio fondato sull’autoreferenzialità, sull’assenza di self-restreint, e devo dire che non è l’unico. Ci sono stati casi, sebbene non così eclatanti, tra Brescia e Milano, tra Roma e Perugia, solo per citarne alcuni. Il confine non si fa con un colpo d’ascia, il confine è ciò che rende l’istituzione credibile. L’esercizio delle funzioni giudiziarie può esser svolto in tanti modi: deve stare sempre attento, il magistrato, a farlo in modo che non risulti come maturato in un’ottica di avversione politica. È l’ “apparire” di cui parlava Pertini: occorre che l’atto appaia come il frutto di un ragionamento fondato sulla legge e sull’indipendenza, non su altro.



Mantovano, su questo tema, riconoscendo l’impasse al quale ha portato la coincidenza di autotutela e autogoverno della magistratura, ha fatto l’ipotesi di una Corte di giustizia disciplinare totalmente svincolata dal Csm. Che ne pensa?

È una mia vecchia ipotesi, di molti anni fa, che sottoscrivo. Cioè la responsabilità disciplinare portata fuori dal Consiglio superiore e affidata a una Corte fatta di personalità autorevoli designate dal Capo dello Stato. Ma soprattutto, una corte che vale per tutte le magistrature, non solo quella ordinaria ma anche per quella amministrativa e per quella contabile.

Qual è la sua opinione su una riforma del Csm, presieduto sempre dal presidente della Repubblica ma distinto in due sezioni, una per i giudici e una per i pm?

Guardi, io rimango contrario alla distinzione delle carriere. Oggi le funzioni sono già sufficientemente distinte. Andare oltre vorrebbe dire fare dei pubblici ministeri una corporazione chiusa, con troppi poteri e senza nessun controllo. Sarebbe paradossalmente controproducente, perché per limitare il potere si finirebbe per moltiplicarlo. A meno che non si abbia in mente il controllo politico del pubblico ministero; però il ministro Alfano ha escluso questo. Allo stesso modo, mi paiono una cosa sbagliata anche i due Csm o le sezioni distaccate. Sono cose, e lo dico con garbo, che mi paiono francamente prive di senso istituzionale.

I pm non sono troppo vicini ai giudici?

Vorrei fare un calcolo molto semplice: quante sono le assoluzioni? Sulla base di calcoli empirici che ho fatto io – ci vorrebbero naturalmente dati più precisi, che non ho sottomano – siamo intorno al 45-50%. Allora, se il giudice fosse dipendente o legato, come si dice, al pm le condanne sarebbero molte di più. È vero che una volte c’era un’integrazione professionale eccessiva, perché uno poteva passare da pm a giudice e viceversa senza nessun filtro. Ora invece i filtri e i limiti sono molti e quelle preoccupazioni che ieri erano fondate, oggi dopo le riforme che sono state fatte dal ministro Castelli e dal ministro Mastella, le ritengo superate.

Come proporrebbe lei di riformare il Csm?

Sostengo da tempo che occorrerebbe eleggere il Csm per un terzo da parte dei magistrati, per un terzo da parte del Parlamento in seduta comune e per un terzo composto da membri che hanno rivestito alte cariche istituzionali designate dal Capo dello Stato.

Quali migliorie porterebbe questa riforma?

Innanzitutto spezzerebbe il correntismo come presupposto di fondo per l’assegnazione di incarichi direttivi; spezzerebbe il rapporto guasto tra politica, o partiti, e correnti, inserirebbe un terzo soggetto con una funzione di “calmiere” tra gli altri due. Devo dire però che io penso ad un Csm che riguardi tutte le magistrature e non solo quella ordinaria.

Che cosa è mancato al centrodestra e al centrosinistra per non essere riusciti finora a sedersi al tavolo di una riforma della giustizia?

Per troppo tempo sia il centrodestra che il centro sinistra non hanno considerato il primato della responsabilità politica: ogni tipo di responsabilità è stata responsabilità penale e quindi si è consegnato alla magistratura un enorme potere di condizionamento e di governo, anche delle azioni politiche perché se l’unica responsabilità che conta è quella che affermano i giudici, è inevitabile poi che i giudici governino anche i processi politici. E poi c’è una pregiudizio culturale.

Quale?

Il centrodestra pensa prevalentemente alla magistratura come potere; il centro sinistra vi pensa prevalentemente come servizio. I primi pensano di conseguenza ad una riconduzione entro dimensioni a loro avviso fisiologiche del potere dei magistrati, gli altri pensano all’efficienza dei processi. Io credo che ci siano entrambi i problemi e che l’importante, di conseguenza, è che ognuno pensi che esiste anche il problema dell’altro e che si tenti di trovare un’intesa. Poi la riforma della giustizia – abbiamo parlato per esempio del Csm – va fatta in un quadro di  riforme costituzionali complessive.

Viceversa la riforma rimarrebbe viziata da pregiudizi ideologici?

 

Sì, non sarebbe una revisione complessiva del sistema, ma una misura punitiva verso la magistratura e penso che questo non sia accettabile per nessuno. Errori ne sono stati fatti, ma da parte di una ristretta minoranza di magistrati.

Che cosa auspica per l’immediato?

Bisogna abbassare i toni, ognuno deve mettere in campo le sue proposte, senza pretendere che sia un “prendere o lasciare”, e avviare nelle aule parlamentari una discussione serena.

Ci sono attualmente i margini per una soluzione?

Il presente è un po’ turbinoso, ma la capacità delle forze politiche emerge nei momenti di difficoltà.