Il risultato elettorale dell’Abruzzo, che ha visto la vittoria di Gianni Chiodi, candidato del Pdl, ha aperto un aspro dibattito all’interno dell’opposizione, soprattutto sul futuro del Partito Democratico, uscito molto dimensionato dalle urne. Per capire meglio quali potranno essere i risvolti di questo evento politico abbiamo interpellato l’editorialista de Il Sole 24 Ore Stefano Folli.



Innanzitutto che giudizio dà del risultato e del dato più emblematico, cioè quello della forte astensione?

Mi sembra che ci sia stato un forte problema di affluenza, perché quando essa cala del 15% circa vuol dire che c’è una grande disaffezione, che ha investito in questo caso soprattutto il centrosinistra, ma che riguarda tutto il sistema politico in generale, anche perché un’elezione amministrativa dovrebbe essere un momento di maggior partecipazione.



All’interno di questo risultato, indubbiamente, la vittoria del Pdl è netta. Si tratta di un risultato previsto, ma è anche una conferma che esiste un consenso reale nei suoi confronti, almeno tra coloro che sono andati a votare.

Cosa comporta invece questo risultato per il Pd?

C’è una crisi che continua nel Pd, come dimostra il fatto che il risultato di Di Pietro è stato particolarmente buono. Di Pietro è riuscito a presentarsi in Abruzzo come il leader dell’intera coalizione di centrosinistra. Questo pone naturalmente dei problemi a Veltroni che deve definire una volta per tutte qual è l’identità del suo partito: quella di andare a ruota di Di Pietro oppure quella di inaugurare una propria linea riformista, scontando anche momenti di conflitto con l’Idv?



Secondo lei che scelta verrà fatta?

L’Abruzzo sembrerebbe dire che il futuro del Pd è di andare verso un’alleanza più stretta con Di Pietro. Tuttavia si tratta pur sempre di una regione, quindi questo risultato non va preso come discrimine di una politica nazionale. Mai come ora, il futuro dipenderà dalla personalità e dalla capacità del suo gruppo dirigente.

Certamente la questione morale ha influito sul risultato perché ha disamorato gran parte dell’elettorato di centrosinistra che ha risposto non andando alle urne.

Dato anche il ruolo della questione morale, il vero vincitore è forse allora Di Pietro?

Credo che Di Pietro debba stare attento a esultare, perché l’astensione così alta è un campanello d’allarme anche per lui. Mi spiego: per lui che rappresenta un po’ “l’antipolitico”, che giocava in una regione in cui è particolarmente forte e che è vicina al suo Molise, la forte astensione significa che non è stato capace fino in fondo di parlare al cuore della gente.

Queste elezioni erano anche un atteso banco di prova per l’Udc…

Per l’Udc il risultato è stato molto negativo e dovuto al fatto che il suo candidato non aveva possibilità di successo. È stato molto penalizzato dalla logica bipolarista: gli elettori hanno scelto tra i due candidati che avevano maggiori chance di vittoria.

Tuttavia sul piano nazionale Casini ha la possibilità di giocare delle partite politiche importanti con una forza maggiore.

Berlusconi, a differenza delle recenti elezioni in Trentino, è intervenuto direttamente nella campagna elettorale. Come mai questa scelta? E cosa significa questo risultato per il Governo?

Berlusconi è stato più presente perché non poteva permettersi il rischio di perdere. Questa vittoria non significa molto per il Governo. Mi spiego: si tratta di un buon risultato perché è cattivo per gli altri; il centrodestra doveva solo confermare il pronostico che lo vedeva vincente. Perdere sarebbe stato realmente un grandissimo colpo per l’esecutivo e la maggioranza.