Continua il confronto di maggioranza e opposizione sulla giustizia. Alla proposta di Berlusconi, di fare la riforma mettendo mano alla Costituzione, hanno fatto seguito toni più concilianti. E Veltroni ha proposto un tavolo comune per favorire il dialogo. Secondo il costituzionalista Augusto Barbera la vera emergenza è la lentezza dei processi, «dovuti a una legislazione piena di garbugli, anche perché – e lo diceva già Calamandrei nel 1919 – ci sono troppi avvocati in Parlamento. Noi abbiamo sì un’anomalia, ma è un’anomalia positiva rispetto ad altri paesi europei: l’autonomia dei pubblici ministeri dal potere politico. Non mi sentirei francamente di cambiare per questo la nostra Costituzione».



Professor Barbera, le forze politiche stanno cercando un accordo su come affrontare il nodo della riforma della giustizia. Prima Berlusconi ha proposto di fare la riforma cambiando la Costituzione, poi Veltroni ha risposto con un tavolo comune che metta insieme parlamentari, avvocati e magistrati. Qual è la sua opinione?



Il tema della riforma della giustizia è complesso, ma rimango convinto che ci siano della priorità. E che queste siano i processi penali, civili e amministrativi, che sono lentissimi, dovuti a una legislazione piena di garbugli, anche perché – e lo diceva già Calamandrei nel 1919 – ci sono troppi avvocati in Parlamento. Che portano con sé una deformazione professionale ammantata di garantismo. Questa è il primo problema della giustizia. Non è l’unico, ma il principale. Poi può esserci un problema di ordinamento della magistratura. Ma bisogna muoversi con molta cautela.

Perché?

Perché noi abbiamo sì un’anomalia, ma è un’anomalia positiva rispetto ad altri paesi europei: l’autonomia dei pubblici ministeri dal potere politico. Non mi sentirei francamente di cambiare per questo la nostra Costituzione. Senza quest’autonomia non avremmo avuto Tangentopoli, non avremmo avuto il processo Calvi, non avremmo avuto quel poco che sappiamo delle stragi in Italia. Questo va salvaguardato. Fatto questo si possono anche operare dei cambiamenti al testo costituzionale, che definirei piuttosto come ritocchi.



Secondo lei l’autonomia dei pm è un principio a rischio?

Quello che si dice di voler fare no. Ma se vogliamo fare il processo alle intenzioni, alcune di queste non sembrano in buona fede. E non soltanto da parte del centrodestra. Diciamo che, forse, quando il Capo dello Stato parla di “principi” intende riferirsi proprio a un principio come quello dell’autonomia. Poi, se si mantiene ferma questa autonomia, si potrebbe anche discutere di separazione delle carriere.

In quali termini?

Certamente non è conforme a principi del costituzionalismo liberale che ci sia questa connessione stretta tra che dirige le indagini, promuove l’accusa, sostiene l’accusa in dibattimento e chi poi deve giudicare. Non è il massimo, direi, dal punto di vista delle garanzie liberali. Ma che cosa frena il cambiamento? Le resistenze corporative della magistratura, ma anche una diffidenza, il timore cioè che la separazione delle carriere sia il primo passo per sottoporre il pm all’autorità politica. È il timore che spinge molti, che pure potrebbero esser teoricamente d’accordo, a tirare il freno sulla separazione.

Come si può sbloccare la situazione?

Un patto solenne tra le forze politiche che dicesse: cambiamo anche alcune norme costituzionali, ma ribadiamo l’autonomia della magistratura e in particolare l’autonomia del pubblico ministero dal potere politico. In tal caso forse molte diffidenze potrebbero cadere.

Lei come riformerebbe il Csm?

La proposta di Violante di riequilibrarne la composizione con la presenza di personalità nominate dal capo dello Stato potrebbe essere utile. Ma io mi spingerei ancor più in là: fatta la separazione delle carriere, si potrebbero istituire due sezioni del Csm, una per i pm e l’altra per i magistrati giudicanti. Perché, in effetti, che la carriera di un magistrato giudicante debba essere condizionata dai giudizi e dalle decisioni assunte in Consiglio anche dai pubblici ministeri non è così tranquillizzante.

Lei ha parlato di un “patto solenne”. Come lo si può raggiungere? Veltroni ha parlato di una commissione della durata di sessanta giorni che valuti le proposte di riforma di maggioranza e opposizione. Può essere la strada giusta?

Per trovare un accordo, data l’attuale situazione direi che tutti i mezzi sono “leciti”. Prima ho parlato dell’autonomia come della nostra anomalia positiva. Ma ci sono ovviamente anche anomalie negative, come l’organizzazione della magistratura per correnti. Qui non c’entra nulla la Costituzione, ma i comportamenti stessi dei magistrati. Teniamo presente che le correnti in passato sono state espressione di nobilissimi contrasti, sul modo di applicare il diritto e la Costituzione, ma ora sono prevalentemente gruppi di potere.

Come si potrebbe intervenire per rimediare a questa degenerazione?

Potrebbe rivelarsi decisiva una legge diversa per l’elezione del Csm, basata su collegi uninominali, in cui la scelta avviene sulla base della persona che si ritiene più capace e in cui si ha più fiducia, anziché in base a liste nazionali e quindi a appartenenze correntizie.

Cosa pensa di una corte di giustizia disciplinare del tutto svincolata dal Csm? È una vecchia idea di Violante, che ha riproposto poco fa su questo quotidiano anche il sottosegretario Mantovano.

Una corte disciplinare, che si occupi però di tutte le magistrature, è indubbiamente un altro ritocco che andrebbe fatto. Le faccio un esempio: io sono stato nell’organo di autotutela della magistratura amministrativa, come vicepresidente, e non era simpatico vedere che noi adottavamo alcuni provvedimenti disciplinari e che poi questi venivano impugnati davanti al Tar. Anche se devo dire che hanno ragione i magistrati, quando dicono che fra tutti gli organismi disciplinari di tutte le amministrazioni quello che ha funzionato meglio degli altri è il Csm. Prendiamo l’università: nella mia carriera ha sentito nominare solo due o tre docenti che hanno subito provvedimenti disciplinari. In magistratura questo avviene in misura nettamente superiore.

La giustizia nel nostro paese appare a conti fatti vittima di uno scontro che ha le sue radici in Tangentopoli. Che cosa avrebbe da rimproverare al centrodestra e al centrosinistra dal punto di vista culturale?

Il problema culturale fondamentale è che si parla di questi temi solo quando viene colpito qualche esponente del ceto politico. Mentre il problema riguarda tutti coloro che risentono di una cattiva amministrazione della giustizia, il signor Rossi e il signor Bianchi. Ecco perché per me la cosa più importante è la riforma della macchina che non funziona, delle procedure; mentre il centrodestra è propenso a ribaltare l’ordine delle priorità, mettendo davanti il problema dell’ordinamento della magistratura. Anche se mi sembra che qualche segnale nuovo, di volersi occupare anche del resto, Alfano lo abbia dato.

E cosa invece avrebbe da rimproverare al centrosinistra?

A parte le ultime proposte di Violante, di essersi appiattita su posizioni conservatrici.