Caro direttore,

Le scrivo con dolore ed con una certa agitazione interiore avendo letto l’articolo pubblicato ieri, 29 dicembre, su Israele: “da Gaza un avviso a tutto il mondo occidentale” di Claudio Morpurgo.

Seguo da tempo con grande stima e attenzione la vostra testata e sono rimasto sconcertato nel leggere un articolo così incapace di star di fronte al dolore di tanti morti, molti dei quali civili, tra cui donne e bambini.



Vivo da più di due anni a Gerusalemme a stretto contatto con colleghi ed amici arabi ed israeliani, ebrei, cristiani e musulmani. Vorrei rispondere a tante delle dure provocazioni lanciate dall’autore: “Israele non poteva fare altro”!?, “neppure il Governo dell’Autorità Palestinese vuole la pace”!?, “il palestinese univocamente!? ostile verso il suo vicino”, etc. Occorrerebbero molte pagine, commenti, osservazioni molte delle quali frutto di esperienza diretta, ma rimando ad un futuro incontro con l’autore. Preferisco soprassedere e condividere con voi solo alcune considerazioni.



Siamo di fronte ad un lungo periodo di guerra o ripetute guerre. Sessant’anni sono tanti, ed una pace ed una soluzione mai trovata è un chiaro indice che le responsabilità sono pesanti in entrambi le parti, compresa la terza parte citata, l’occidente.

Chi ama veramente Israele, la sua democrazia ancora piena di contraddizioni non risolte, ma ricca di grande slancio ideale, creatività, laboriosità non può non ammettere che molti errori sono stati fatti e poche le soluzioni veramente cercate con convinzione e perseguite con correttezza. Potrei fare tanti riferimenti, ma mi limito a citare il continuo sviluppo del fenomeno della colonizzazione in Cisgiordania, la costruzione del muro lungo una linea tracciata arbitrariamente, i cerchi duramente valicabili di sicurezza attorno alle cittadine palestinesi, le spesso gratuite umiliazioni ai check point ed il tragico bilancio di morti civili palestinesi in Cisgiordania.



Ricordo inoltre le enormi difficoltà di Israele a riconoscere la presenza dei cristiani, caratterizzata da comunità arabe, piccole comunità di ebrei di espressione cristiana (cattolici e non) e da molti religiosi occidentali e locali. La democrazia israeliana fa molta fatica a distingue e rispettare democraticamente queste realtà che al suo interno vivono e vengono spesso ignorate, talvolta discriminate.

Tanta aggressività è sintomo di debolezza. Gli israeliani, quelli che vivono in Israele, sanno, dopo tanti anni di guerra e dura resistenza, cha la strada non è questa, non è la forza. Chi ha il potere, chi ha forti alleati (come li ha avuti in tutti questi anni Israele) ha il dovere di trovare e lavorare per costruire forme creative di convivenza, con più convinzione e con più serietà.

Circa il fronte palestinese, riconosco vere molte delle osservazioni fatte. Sono pienamente consapevole del disastro rappresentato dalla guerra civile, dalle faide interne, dalla corruzione dei capi, dalla divisione e dalla violenza sbandierata ed esercitata dal gruppo di Hamas. Sono consapevole del problema dei razzi artigianali kassam sulla città di Sderot, fondata nel 1953 ad un chilometro dalla municipalità di Gaza. Sono consapevole della tensione e del rischio con il quale sono costretti a vivere tutti i cittadini israeliani.

Ma, a dispetto di queste dolorose verità, sono certo che la risposta a tutto questo non può essere la forza con la quale sta operando Israele da molti anni e con la quale sta gestendo il problema Gaza/Hamas questi giorni. La forza, i morti, la violenza, fanno male a chi la subisce ma fanno altrettanto male a chi la esercita. Molti amici israeliani conosciuti in questi anni raccontano con dolore delle esperienze fatte nei tre anni di servizio militare, restano enormemente segnati. Amano la propria terra, il proprio popolo ma desiderano allontanarsi, fare esperienze fuori, uscire dalla logica invadente del conflitto.

È difficile per gli israeliani continuare a resistere in questa tensione. È difficile che i palestinesi emigrino tutti. Occorre riflettere sul proprio limite, sul proprio male e con questa coscienza andare incontro all’altro. Non si può pretendere di avere ragione su tutto di fronte a centinaia di morti. Occorrono soluzioni diverse, che vanno cercate tra il vero desiderio di pace di molti israeliani e palestinesi, tra fenomeni di convivenza e stima reciproca già in atto.

«È, sopra ogni altra cosa, la Terra Santa, crocevia di popoli, religioni, culture. Paese di scorribande furiose di popoli antichi, paese di interesse politico-militare per troppe potenze attuali. Essere Terra Santa – per antica elezione, perché terra della nostra redenzione, perché sede primaria delle tre grandi religioni monoteistiche – è quello che fa di questo paese un microcosmo che è immagine e proiezione, nel bene e nel male, della situazione mondiale» dice il Custode di Terra Santa Pierbattista Pizzaballa.

Per tutti noi non si tratta di un conflitto qualunque, pur sempre doloroso, ma di un conflitto che tocca la Terra Santa. Occorre domandarsi cosa sia la Terra Santa per noi cristiani, così come per gli ebrei ed i musulmani. È veramente proprietà ed esclusività di qualcuno o può essere amata, goduta e condivisa da tutti? Questa Terra è uno specchio dei desideri, delle aspettative, delle speranze del mondo intero, è la Terra che più riflette il nostro male ed il nostro desiderio di bene. Dio cerca la pace e ci vuole ricordare che è possibile perdonare ed amare. Proprio qui lui ce lo ha mostrato ed insegnato.

«La patria terrena di Gesù non può continuare ad essere testimone di tanto spargimento di sangue, che si ripete senza fine! Imploro la fine di quella violenza, che è da condannare in ogni sua manifestazione, e il ripristino della tregua nella striscia di Gaza; chiedo un sussulto di umanità e di saggezza in tutti quelli che hanno responsabilità nella situazione, domando alla comunità internazionale di non lasciare nulla di intentato per aiutare israeliani e palestinesi ad uscire da questo vicolo cieco e a non rassegnarsi alla logica perversa dello scontro e della violenza, ma a privilegiare invece la via del dialogo e del negoziato», ha detto Benedetto XVI.

Auguro a me stesso, a tutti voi del Sussidiario ed all’autore del citato articolo questo “sussulto di umanità”.

Tommaso Saltini