Una politica di lungo periodo

Gli Stati Uniti sono il principale importatore di petrolio al mondo, con 13,5 milioni di barili al giorno (mbg), pari al 63,5% del fabbisogno giornaliero complessivo degli Stati Uniti (20,6 mbg), percentuale che salirà al 68% entro il 2017. Il fabbisogno petrolifero, utilizzato soprattutto per il trasporto via aria e via terra, rappresenta il 40% del fabbisogno energetico americano.
La dipendenza degli Stati Uniti e dell’economia globale dal petrolio sta crescendo e questa situazione può avere conseguenze spaventose per il benessere economico degli Stati Uniti, per la nostra sicurezza nazionale e per lo stile di vita americano. Garantire il più possibile la stabilità dei nostri approvvigionamenti petroliferi in collaborazione con i tradizionali alleati degli Stati Uniti, coinvolgendo, nel contempo, i principali consumatori emergenti di petrolio, come India e Cina, dovrebbe costituire la principale strategia diplomatica nel medio periodo. Parallelamente, occorre che gli Stati Uniti attuino una politica di deterrenza nei confronti di coloro che, da Teheran a Caracas, stanno cercando di colpire e destabilizzare la catena della fornitura energetica mondiale. La collaborazione con i fornitori e i consumatori per aumentare la trasparenza e l’accesso alle riserve petrolifere esistenti da parte delle compagnie petrolifere internazionali è una politica di lungo periodo. L’ampliamento del nostro mix energetico a risorse petrolifere non tradizionali come le sabbie petrolifere, l’argillite petrolifera, il petrolio offshore a profondità elevata e il greggio pesante rappresenta un altro importante componente per diversificare l’offerta, così come la produzione di una maggiore quantità di carburante per il trasporto da carbone e di combustibili Gtl (ricavati, cioè, dal gas naturale invece che dal petrolio). Infine, incoraggiare l’innovazione e gli investimenti in combustibili e tecnologie alternative realmente concorrenziali, dall’etanolo a base di canna da zucchero agli ibridi di tipo plug-inche finiranno per entrare in concorrenza e possibilmente per sostituire l’attuale tecnologia automobilistica del XIX secolo – potrebbe essere la migliore risposta a lungo termine per aumentare la nostra sicurezza energetica nel XXI secolo.



Garantire gli approvvigionamenti energetici degli Stati Uniti

Nel discorso sullo stato dell’Unione del 2006, George W. Bush ha dichiarato: «Abbiamo un grave problema: l’America è dipendente dal petrolio, che viene spesso importato da regioni instabili del mondo».Aver riconosciuto il problema è lodevole, ma relativamente poco è stato fatto per risolverlo. In America esiste un ampio consenso, dal presidente all’uomo comune, sul fatto che l’attuale situazione sia nociva per il benessere economico del Paese. Il mondo sviluppato e in via di sviluppo dipende per i propri approvvigionamenti petroliferi da regioni instabili oppure inospitali del mondo. L’instabilità sociale e politica contraddistingue tutte le principali regioni petrolifere: il Medio Oriente, il Venezuela e l’Africa. La Russia pone una serie di questioni a sé stanti, che saranno discusse in seguito. Affrontare i fattori politici e di sicurezza che limitano lo sviluppo della produzione di petrolio e di gas deve costituire un’alta priorità per qualsiasi amministrazione, repubblicana o democratica. Gli strumenti per affrontare la crisi petrolifera vanno dal risparmio energetico, molto importante, allo sviluppo di combustibili succedanei e alternativi, come etanolo, metanolo e Gtl, all’introduzione di nuovi modelli di motori e di automobili più efficienti, anche mediante l’utilizzo di combustibili differenti. È tuttavia probabile che tali trasformazioni tecnologiche e strutturali, che esulano dall’oggetto di questo intervento e che comporteranno certamente cospicui investimenti, richiedano tempi più lunghi del previsto. Nel breve periodo, concentriamo la nostra attenzione sulle principali opportunità per garantire i nostri approvvigionamenti petroliferi, tra cui:
– esercitare un’azione di deterrenza nei confronti di chi combatte contro lo status quo, come l’Iran, il Venezuela e il movimento islamico radicale con le sue organizzazioni terroristiche;
– collaborare con i governi locali per migliorare la protezione dei punti critici, come il Canale di Suez, il Bosforo, Babel-Mandeb, lo Stretto di Hormuz, lo Stretto di Malacca, ecc., ed elaborare piani di emergenza per la pirateria e il terrorismo via mare contro le petroliere;
– incoraggiare la costituzione di una coalizione internazionale di acquirenti di petrolio coinvolgendo India, Cina e altri importanti mercati emergenti come il Brasile e la Turchia;
– garantire un accesso aperto e condizioni paritarie per le compagnie petrolifere nazionali e internazionali. In particolare, i Paesi consumatori dovrebbero porre come principali priorità di politica estera l’apertura dei regimi di investimento, sistemi normativi energetici trasparenti, prevedibili e stabili basati sulla supremazia della legge nei Paesi produttori, lotta alla corruzione.



Il Medio Oriente

Il Golfo Persico rappresenta la regione petrolifera più importante e più ricca al mondo. Il 40% dei carichi petroliferi giornalieri passa attraverso il Golfo, da cui proviene circa il 20% del petrolio statunitense. Attualmente, la sicurezza e la stabilità del petrolio del Medio Oriente sono minacciate dai conflitti in corso in Iraq, da un Iran aggressivo e nuclearizzato e dai movimenti radicali islamici, i cui obiettivi comprendono il rovesciamento dei regimi in tutto il Golfo, compreso lo swing producer di petrolio (produttore in grado di adeguare la propria produzione alla situazione economica mondiale), l’Arabia Saudita. I movimenti islamici, finanziati in larga parte dai profitti petroliferi degli Stati del Golfo, mirano in definitiva a costituire un impero islamico globale: il Califfato. Si tratta di un progetto a lungo termine, che alla fine ci auguriamo si riveli vano, ma che rappresenta, tuttavia, una minaccia immediata per la sicurezza di alcuni dei settori più cruciali degli approvvigionamenti petroliferi mondiali.
L’attuale mercato petrolifero globale opera senza poter contare su una capacità produttiva aggiuntiva, o su importanti riserve petrolifere strategiche oltre a quelle statunitensi. La capacità produttiva residua dell’Arabia Saudita si è ridotta del 50% nel corso dell’ultimo decennio, passando da 3-4 mbg a 1-1,5 mbg. Inoltre, alcuni esperti mettono in dubbio le stime relative alle riserve, soprattutto dove non sono verificate in maniera indipendente: mancando una conoscenza certa della quantità di petrolio disponibile, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a spiacevoli sorprese.
La posizione del Medio Oriente come centro di gravità strategico del mercato petrolifero mondiale non è destinata a cambiare nel medio periodo. Fino a quando gli islamici radicali, la Cina, la Russia, l’India e l’Europa continueranno a contendersi la limitata offerta petrolifera mondiale, la regione rimarrà instabile. È quindi essenziale per gli Stati Uniti utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per proteggere le risorse energetiche a livello mondiale, riducendo nel contempo la dipendenza mondiale dal petrolio mediorientale nel modo più rapido ed efficiente possibile.



Iran

Il governo della Repubblica islamica dell’Iran è impegnato nella realizzazione di progetti operativi per intercettare i flussi petroliferi nel golfo. Molti analisti debbono ancora riconoscere appieno le terribili ramificazioni delle dichiarate intenzioni dell’Iran di sviluppare un programma di armamenti nucleari. Se la diplomazia fallisce, agli Stati Uniti e ai suoi alleati rimarranno poche scelte a disposizione, tutte spiacevoli. Le conseguenze economiche sul mercato energetico mondiale di un attacco militare alle infrastrutture nucleari iraniane sarebbero rilevanti, se non disastrose. D’altro canto, le aspirazioni iraniane nella regione sono di vasta portata, e permettere all’Iran di entrare nel club nucleare renderebbe possibile una sua interferenza in tutto il Medio Oriente, tenendo conto soprattutto della prossimità dell’Iran a un numero così elevato dei più grandi campi petroliferi del mondo. Le ingenti forze militari iraniane, se largamente rifornite dalla Russia e dalla Cina, si troverebbero nella condizione di poter dominare il Golfo Persico sotto un ombrello nucleare, soprattutto se le forze terrestri statunitensi fossero bloccate in Iraq. Immaginando lo scenario peggiore, un Iran potenza nucleare potrebbe minacciare gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait, assicurandosi così una porzione considerevole delle riserve petrolifere mondiali e una posizione di monopolio virtuale sul mercato energetico mondiale. A partire dagli anni Novanta, l’Iran si è potenziato con nuove armi provenienti dalla Cina, dalla Russia e dalla Corea del Nord, oltre che con armamenti prodotti nel Paese, e oggi vanta un arsenale di missili costruiti sulla base di modelli russi e cinesi, difficili da respingere sia prima che dopo il lancio. L’Iran possiede una vasta riserva di mine antinave, che nelle acque profonde dello Stretto di Hormuz potrebbero distruggere le navi che entrano o escono dal Golfo Persico. Inoltre, le Guardie rivoluzionarie iraniane hanno commando navali e squadre subacquee addestrati per attaccare navi e piattaforme petrolifere offshore. Infine, Teheran potrebbe utilizzare la propria vasta rete terroristica nella regione per sabotare gli oleodotti e altre infrastrutture o per colpire le petroliere nei porti o in mare.

Il deterrente statunitense in Medio Oriente

Le forze militari statunitensi nel Golfo Persico potrebbero facilmente, in qualsiasi conflitto convenzionale, instaurare una situazione di superiorità sulle forze terrestri, aeree e navali iraniane, ma i missili mobili, le mine, gli attacchi dei commando, la guerriglia non convenzionale e il sabotaggio terroristico iraniano rappresenterebbero minacce molto più difficili da neutralizzare. L’amministrazione Bush dovrebbe collaborare con gli alleati per mettere a punto piani di emergenza, e gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare le altre nazioni ad aumentare le loro riserve petrolifere.
Washington dovrebbe inoltre incoraggiare l’Arabia Saudita e altri produttori di petrolio del Golfo a fare scorte dei materiali e delle attrezzature necessarie a riparare rapidamente le infrastrutture danneggiate e a costruire nuovi oleodotti che aggirino lo Stretto di Hormuz. Ognuno di questi tentativi richiede tempo, ed è per questo motivo che è imperativo cominciare immediatamente.
Oltre a queste linee guida specifiche per una situazione di crisi, è fondamentale che gli Stati Uniti mettano in atto questi particolari provvedimenti:
– promuovere i tentativi di ridurre le minacce ideologiche sovversive, terroristiche e militari dell’Iran;
diversificare le fonti geografiche delle importazioni energetiche statunitensi;
diversificare il paniere energetico allargando la produzione nazionale di petrolio e gas;
ampliare l’estrazione dalle fonti petrolifere non tradizionali come le sabbie e gli scisti bituminosie il greggio superpesante; aumentare la produzione di carburante Gtl;
incoraggiare una maggiore produzione e importazione di metanolo ed etanolo in base alle regole di mercato;
eliminare le tariffe punitive sulle importazioni di etanolo a base di canna da zucchero.

Russia ed Eurasia

Da quando è salito al potere nel 2000, il presidente Vladimir Putin e la sua cerchia hanno tenacemente perseguito politiche volte a concentrare nelle mani dello Stato le ingenti risorse petrolifere e di gas e le infrastrutture della Federazione Russa. Le procure hanno utilizzato le accuse di evasione fiscale per assumere il controllo della compagnia petrolifera Yukos, valutata dal mercato più di 43 miliardi di dollari. In maniera meno violenta, altre compagnie petrolifere stanno attualmente procedendo a una fusione con organismi statali. La Russia sta utilizzando le risorse energetiche come strumento di politica estera, per rendere più arrendevoli i suoi vicini europei e dell’ex Unione Sovietica. Essa sta inoltre cercando attivamente di impedire che gli oleodotti dal Mar Caspio all’Occidente taglino fuori la Russia. Anche il settore del gas naturale è a rischio. Secondo quanto è stato riferito, la Russia, l’Iran, il Venezuela, il Qatar e l’Algeria stanno cercando di creare una “Opec del gas naturale”, un importante sviluppo strategico nei mercati energetici, date le previsioni secondo cui il volume commerciale del gas naturale liquido aumenterà di quattro volte nei prossimi 15-20 anni. Nel mese di marzo, tre importanti sviluppi in campo energetico in Eurasia hanno innervosito i politici a Washington. Per prima cosa, il Primo ministro ungherese, Ferenc Gyurcsany, ha annunciato che il suo Paese avrebbe preferito il gas russo di Gazprom, trasportato attraverso la Turchia, al progetto Nabucco, promosso dagli austriaci, che avrebbe dovuto trasportare fino a 30 miliardi di metri cubi di gas dal Mar Caspio in Europa, passando attraverso la Turchia, la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria e l’Austria.
In secondo luogo, la Russia, la Bulgaria e la Grecia hanno sottoscritto un accordo per la costruzione di un oleodotto da Burgas ad Alexandroupolis, aggirando il Bosforo turco, pericolosa strozzatura nel trasporto petrolifero. Il progetto, definito da alcuni “l’oleodotto ortodosso”, neutralizzerà il controllo della Turchia sulla fondamentale arteria petrolifera e ridurrà i rischi derivanti da eventi catastrofici come l’incendio di una petroliera o un’esplosione nel centro della città di Istanbul. Per concludere, British Petroleum ha accennato al fatto che il suo partner russo, Tnk, potrebbe vendere la propria partecipazione nella joint venture Tnk-Bp a una compagnia nazionale russa. La Russia sta anche studiando progetti per la costruzione di un secondo oleodotto per aggirare il Bosforo, da un porto sul Mar Nero al Mediterraneo.
Queste iniziative strategiche, intraprese tutte in un solo mese, indicano chiaramente come lo stato russo stia perseguendo una strategia globale che integra magistralmente geopolitica e geoeconomia. Da un punto di vista geoeconomico, la Russia mira a impedire che il petrolio e il gas del Mar Caspio vengano trasportati ai mercati mondiali attraverso Paesi e infrastrutture al di fuori del controllo russo. D’altro canto, gli obiettivi strategici della Russia mirano a impedire che nazioni situate lungo i suoi confini diventino pro-americane. Ubicando gasdotti e infrastrutture per l’immagazzinamento del gas in Ungheria, Bulgaria, Grecia e Turchia, la Russia stringe queste nazioni a sé con legami vincolanti, e i progetti petroliferi provvedono alla propagazione non solo del greggio, ma anche del denaro. Stando a quanto riportato, le élites di questi Paesi hanno beneficiato personalmente degli sviluppi energetici russi per centinaia di milioni di dollari. L’opaca iniziativa russo-ucraina Rosukrenergoper la commercializzazione del gas, la presidenza di Nordstream all’ex Cancelliere tedesco Gerhardt Schröeder, le tangenti per il gasdotto russo Blue Stream in cui sono rimasti coinvolti ministri turchi, e altri scandali dimostrano questo fatto. Il grande generale cinese Sun Tzu nel III secolo a.C. ha scritto che la migliore strategia è vincere la guerra senza sparare un colpo, e questo prevede anche la penetrazione e la sovversione del campo avversario. Per parafrasare un altro grande teorico militare, il prussiano Carl von Clausewitz, la politica estera rappresenta una prosecuzione del conflitto attraverso mezzi differenti, perlomeno secondo alcuni colonnelli e generali russi in pensione che dettano legge al Cremlino. Non esiste quindi un modo migliore di “vincere la guerra” che ottimizzare il potere geopolitico senza sparare un colpo e nel frattempo facendo soldi. È quanto sta cercando di fare la Russia, creando lungo le proprie frontiere un cordon sanitaire sotto la sua influenza.
L’amministrazione Bush dovrebbe intraprendere alcune misure diplomatiche per ostacolare questa iniziativa. Sono già in corso consultazioni con l’Unione Europea per coordinare la politica energetica. Washington intende aumentare la consapevolezza di questa strategia energetica russa e condizionare l’accesso di Mosca alle attività di raffinazione in Europa all’accesso delle compagnie occidentali alle risorse energetiche russe a monte.
Ciononostante, l’Unione Europea, compreso il suo apparato a Bruxelles, è divisa, poiché la Germania ha già adottato un atteggiamento di acquiescenza nei confronti degli interessi energetici russi. Le società tedesche, come E.On, hanno siglato accordi di partnership con Gazprom per lo sviluppo di campi di estrazione del gas e attività di raffinazione in Russia ed Europa. È altresì possibile che il Dipartimento di Stato americano possa intervenire presso il governo di Bucarest per impedire che il progetto di gasdotto Gazprom dalla Turchia attraversi il territorio della Romania. Chiaramente, le due piccole basi militari statunitensi in Romania e Bulgaria e la proposta relativa a una base di difesa missilistica e a un radar nella Repubblica Ceca e in Polonia non fermeranno l’espansione russa. Gli oleodotti sono strumenti di politica estera molto più efficaci dei missili.

La libertà economica e i Paesi produttori di petrolio

Molti campi petroliferi sono destinati a esaurirsi, ma attualmente il problema principale della scarsità di petrolio non è rappresentato dalla mancanza di riserve nel sottosuolo, ma dalla mancanza di accesso in superficie.
In molti Paesi produttori di petrolio, le normative impongono che il governo detenga e/o controlli importanti partecipazioni nelle attività petrolifere. L’eccesso di regolamentazione e il nazionalismo economico impediscono alle compagnie petrolifere internazionali di possedere diritti minerari, mentre l’incertezza del diritto e un’insufficiente tutela dei diritti di proprietà in molte regioni ricche di petrolio rendono gli investimenti troppo rischiosi. In molti Paesi produttori di petrolio, le normative arbitrarie, la debolezza e la corruzione dei sistemi legali, l’imposizione fiscale selettiva, la contraddittorietà dei codici legali e la mancata applicazione dei contratti da parte dei governi hanno creato uno scenario opaco per gli investimenti. In particolare, le nazionalizzazioni hanno un effetto devastante. Il Venezuela ha bruciato decine di miliardi di dollari in valore azionario. La Russia ha spaventato molti investitori smembrando la sua principale compagnia petrolifera, Yukos, spingendo la Shell ad abbandonare il progetto dell’Isola Sakhalin e citando in giudizio il partner russo di British Petroleum, Tnk, per 790 milioni di dollari in imposte arretrate. L’Arabia Saudita ha abbandonato la sbandierata privatizzazione della produzione di gas naturale. Due terzi delle riserve petrolifere mondiali sono concentrati nella sempre più instabile regione del Medio Oriente, sotto il controllo, di natura quasi monopolistica, di membri dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec). Nel corso degli anni, l’Opec si è dimostrata veloce a tagliare l’offerta e lenta ad aumentare la produzione, portando i prezzi del petrolio ai livelli elevati di oggi.La maggioranza dei Paesi produttori di petrolio presenta elevati livelli di regolamentazione economica e di corruzione, come viene documentato nell’Index of Economic Freedom, pubblicato dalla Heritage Foundation e dal The Wall Street Journal.Pertanto, i consumatori stanno effettivamente pagando due premi sul petrolio: uno per la sicurezza e uno per l’inefficienza economica e il comportamento monopolistico dei fornitori. Gli Stati Uniti devono sviluppare una strategia completa per modificare il clima degli investimenti petroliferi. I Paesi consumatori, compresi quelli del G8, Cina e India, dovrebbero utilizzare strumenti economici e diplomatici per esercitare pressioni sui fornitori Opec e non-Opec, affinché liberalizzino la loro normativa in materia di investimenti stranieri, smantellino i monopoli di stato ed eliminino gradualmente l’eccessivo intervento governativo. Questi sforzi potrebbero essere intensificati coinvolgendo le organizzazioni finanziarie internazionali, come la Banca mondiale e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. L’assistenza economica dovrebbe porre l’accento sulla libertà economica dei potenziali beneficiari. In molti Paesi, un’imposizione fiscale eccessiva dirotta i ricavi petroliferi prima che vengano effettuati adeguati investimenti per lo sviluppo futuro. Questo limita i fondi disponibili per sviluppare nuovi campi petroliferi, e attenua la motivazione del profitto per espandere la produzione. Questi ostacoli all’attività economica hanno impedito agli investitori di ampliare l’offerta di petrolio e gas naturale persino in presenza di un rialzo della domanda. Gli acquirenti di petrolio debbono coordinare le politiche per ridurre queste barriere. Le vendite di armi e di apparecchiature fondamentali dovrebbero essere condizionate al miglioramento del clima di investimenti nel settore energetico. Gli Usa dovrebbero inoltre condizionare l’adesione al Wto ai cambiamenti di politica che facilitino gli investimenti stranieri, e fare della privatizzazione delle compagnie petrolifere nazionali e della liberalizzazione economica uno dei pilastri della politica estera e di sicurezza energetica del G8 e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Se applicati, questi principi consentiranno un aumento significativo dell’offerta petrolifera.
L’indipendenza energetica, in termini di produzione locale concorrenziale di tutta l’energia di cui abbiamo bisogno, resta un miraggio. È la sicurezza energetica l’obiettivo che dobbiamo conseguire, con un’offerta energetica abbondante e accessibile alla portata di tutti gli americani. Il riconoscimento dell’instabilità intrinseca, sistemica e a lungo termine dei mercati petroliferi globali rappresenta il primo passo per risolvere il problema che gli Stati Uniti hanno di fronte.


U.S. Department of Energy, International Energy Administration, U.S. Weekly Petroleum Products Product Supplied, disponibile all’indirizzohttp://tonto.eia.doe.gov/dnav/pet/hist/wrpupus2w.htm.
George W. Bush, State of the Union Address by the President, 31/01/2006, disponibile all’indirizzo www.whitehouse.gov/stateoftheunion/2006.
Gli 11 Paesi membri dell’OPEC sono Algeria, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela.
A. Cohen, W. Schirano, Congress Should Lift OPEC’s Immunity, Heritage Foundation WebMemon. 777, 27/06/2005, disponibile all’indirizzo www.heritage.org/Research/EnergyandEnvironment/wm777.cfm
Per esempio, dal punto di vista della libertà economica, l’Iran, il Venezuela, e la Nigeria si sono classificati rispettivamente al 156°, 152°, e 146° posto su 157 Paesi. Cfr. M. A. Miles, K. R. Holmes, M. A. O’Grady, 2006 Index of Economic Freedom,The Heritage Foundation and Dow Jones & Company Inc., Washington D.C. 2006, disponibile all’indirizzo www.heritage.org/index.

Estratto dall’intervento di fronte al Comitato per gli Affari esteri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, 22/03/2007.