Il “Rapporto sulla Sussidiarietà 2007” mette in evidenza un forte desiderio di partecipazione all’attività politica da parte dei cittadini. Tale desiderio investe innanzitutto la composizione delle liste dei diversi partiti che competono alle elezioni. Sotto questo profilo, che giudizio danno gli italiani sulle liste delle prossime elezioni, costruite sulle sole scelte dei partiti?

Pagnoncelli: Sicuramente l’impossibilità di scegliere il proprio candidato suscita contrarietà negli elettori. In occasione delle primarie si è registrata una mobilitazione elevata. D’altra parte questo non è un meccanismo replicabile in tutti i contesti territoriali: le primarie che sono state organizzate a livello locale hanno sempre suscitato un livello di partecipazione molto più contenuto. Per cui da un lato i cittadini esprimono un’attenzione particolare a tutto ciò che favorisce la partecipazione, ma questo non si traduce necessariamente in una partecipazione sempre costante, uguale ed omogenea. L’idea degli elettori è che la composizione del parlamento sia comunque decisa dalle segreterie dei partiti le quali, conoscendo la ripartizione storica dei voti in ogni circoscrizione e disponendo di un aggiornamento costante attraverso i sondaggi, possono decidere di candidare in un ordine determinato le persone che a loro giudizio devono o possono far parte del parlamento.



Piepoli: Gli italiani non danno un giudizio su questo fenomeno, per la semplice ragione che questa maniera di stabilire chi vincerà o chi perderà senza interpellare democraticamente la base crea degli stati di demotivazione quasi schizofrenica. L’assoluto disinteresse nei confronti della campagna elettorale da parte della maggioranza della popolazione è sottolineato dal fatto che non si possono dare preferenze.



I recenti sviluppi hanno mostrato una tendenza alla semplificazione del quadro politico, con la creazione di due grandi soggetti potenzialmente in grado di competere da soli per ottenere la maggioranza. Quali prospettive si aprono per i soggetti minori, in particolare per quelli di centro?

Pagnoncelli: Ci sono due tendenze contrapposte, che si manifestano in modo diverso nei diversi partiti. Allo stato attuale si può dire ad esempio che la Sinistra Arcobaleno, che è un’alleanza tra quattro formazioni politiche, sta soffrendo abbastanza perchè condizionata dal cosiddetto “voto utile”: in altre parole c’è una parte di elettori di queste quattro formazioni politiche che, pur sentendosi più vicine alla Sinistra Arcobaleno, opterà – o dichiara di voler optare – per il Partito Democratico, per evitare di disperdere il proprio voto. Diverso è il caso dell’Udc, formazione che presenta un’identità molto definita (in senso moderato e cattolico) e a mio parere rafforzata dalla criticità del rapporto con il PdL e Silvio Berlusconi. Berlusconi, attaccando Casini e l’Udc, di fatto conferisce a questo soggetto un’identità. In questa fase riscontriamo che l’Udc mantiene il proprio elettorato, o meglio mantiene i valori raggiunti alle elezioni politiche del 2006, visto il ricambio piuttosto forte verificatosi all’interno: oltre la metà degli elettori Udc del 2006 conferma il proprio voto, ma il partito poi presenta dei flussi in entrata, che sono piuttosto interessanti. Si tratta di elettori che, ad esempio, vengono dal PdL, di cui non condividono la strategia, o di elettori cattolici delusi della Margherita, che si identificano maggiormente nell’Udc. Quindi i soggetti minori possono essere o danneggiati dal “voto utile”, oppure rafforzati (come l’Udc) dagli elementi identitari.



Piepoli: Esiste un antico detto biblico: “a chi più ha più sarà dato, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”; il sistema attuale conferma questo detto, i due maggiori partiti tendono ad incrementare la loro presenza “disattivando” i partiti minori. L’unica terapia per chi è partito minore, in particolare al centro, è quella di scegliere dei leader assolutamente vitali (tanto per capirsi di vitalità simile a quella di Storace). Solo attraverso una vitalità superiore al normale è possibile uscire dallo stallo in cui i due maggiori partiti ci costringono a vivere.

Negli elettori è possibile riscontrare l’aspettativa di un reale cambiamento in seguito al voto o la tendenza è semplicemente quella di “votare per il meno peggio”?

Pagnoncelli: Quello che noi avvertiamo tra i cittadini è una forte disillusione, quasi una rassegnazione. Gli elettori sono consapevoli del fatto che i problemi del paese sono di una tale portata che non potrà risolverli una sola parte politica. Non dobbiamo dimenticarci che dal 1994 in poi tutti i governi in carica sono usciti sconfitti alle successive elezioni. Le aspettative di cambiamento ripetutamente frustrate hanno prodotto nell’elettorato questa disillusione crescente. Non è un caso che finora nella campagna elettorale le promesse dei partiti non siano state accompagnate da un particolare entusiasmo popolare. Come non è un caso che il PD, per esempio, insista maggiormente sul terreno dei valori, della visione futura, della costruzione di un paese diverso da quello attuale. L’idea di fondo è quella di saldare due aspetti: a) dare risposte concrete ai problemi dei cittadini; b) prospettare uno scenario futuro diverso in cui i cittadini si possano riconoscere. La visione del futuro gioca un ruolo determinante, cosa che è mancata nelle ultime campagne elettorali (in particolare nel 2006, dove a farla da padrone è stato il “voto contro”).

Piepoli: Gli elettori in questo momento sono demotivati:

Il metodo seguito in questa settimana è stato analogo a tutte le settimane precedenti: esplorazione di un campione rappresentativo della popolazione italiana dai 18 anni in su, segmentato per sesso, età, Grandi Ripartizioni Geografiche e Ampiezza Centri proporzionalmente all’universo della popolazione. Queste informazioni, così come quelle che seguono, sono tratte dal Tableau de Bord settimanale che costituisce una vera e propria banca dati con più di 10 anni di informazioni.

In ogni caso ci sono anche motivazioni positive, come qui di seguito indicato:

Il Nord si è confermato negli ultimi anni una roccaforte del centrodestra. Quale consenso è in grado di ottenere qui il PD? Un’ennesima affermazione del centrodestra andrebbe letta più come l’espressione di un semplice voto di protesta (in “stile Lega”) o come segno di una reale identificazione dell’elettorato con i programmi e i contenuti del PdL?

Pagnoncelli: Il PD sta recuperando al Nord perchè sta parlando un linguaggio diverso e sta cercando una relazione diversa con i ceti produttivi; però è decisamente in ritardo rispetto al PdL. Nell’ambito del centrodestra vediamo una Lega che cresce in misura decisamente elevata, soprattutto in Lombardia e nel Veneto, mentre un po’ meno nel Piemonte. La Lega è in grado di intercettare il disagio che viene espresso dai ceti produttivi e non solo, il che rende difficile dire se il voto al centrodestra è un voto di protesta o di identificazione. Esistono entrambe le componenti, e il risultato elettorale ci dirà quale delle due sarà maggiormente cresciuta.

Piepoli: Prima di formulare delle ipotesi bisogna conoscere i precedenti storici. Il nord-ovest è stato, dal 1945 a fine degli anni ‘80, un bacino di forte utenza del Partito Comunista e in subordine del Partito Socialista; il nord-est invece è stato, sempre dal 1945 alla fine degli anni ‘80, un bacino di forte utenza della Democrazia Cristiana. La situazione quindi, nel nord, è potenzialmente favorevole ad un reinserimento del Partito Democratico che è, come ben noto, di democratico-cristiani e di socialcomunisti (le radici non esistono soltanto nei film, esistono anche sul territorio, e le radici del nord sono un po’ democristiane e un po’ socialcomuniste). Poi, alla fine degli anni ‘80, è entrata la Lega che ha sparigliato tutti e che ha, alleandosi con Berlusconi, creato l’attuale situazione in cui la destra vince. È una situazione transitoria o definitiva? Prima di tutto, presto o tardi Bossi fisicamente si estinguerà, il problema è se estinto Bossi il Movimento continua. Molto dipenderà dai prossimi 5 anni di gestione del potere, in cui una figura vitale come è Bossi può veramente provocare delle scissioni irreversibili nel paese. Ove questo fortunatamente non avvenga, io supporrei che si ritorni all’area di partenza, cioè un’area caratterizzata dal “color rosso” nel nord-ovest e dal “color azzurro” nel nord-est.

Come si ripartirà il voto dei cattolici tra i diversi partiti? Quali fattori risulteranno decisivi nel determinare il loro voto?

Pagnoncelli: Quello del voto dei cattolici è spesso e volentieri un “falso problema”, dato che i cattolici sono presenti in tutti i partiti, con percentuali più o meno elevate. Il sondaggio che abbiamo pubblicato domenica scorsa sul Sole 24 Ore evidenziava una prevalenza di cattolici osservanti per il centrodestra, ma la domanda che pongo sempre nell’analizzare questi dati è la seguente: sono solo i “valori cattolici” a orientare il voto o, piuttosto, ci sono anche altri fattori, che in qualche modo sono strettamente collegati alle preoccupazioni di questi segmenti di popolazione? Mi spiego: il mondo cattolico è un mondo tendenzialmente caratterizzato da un’età avanzata, dalla rilevante presenza di persone molto connotate dal punto di vista sociodemografico (età più elevata, scolarità più bassa, residenza in piccoli centri), che esprimono disagi diversi rispetto alla popolazione giovanile. Questo fa emergere diverse preoccupazioni legate, per esempio, al tema della sicurezza, all’immigrazione, alla tenuta del potere d’acquisto. In tale contesto, i temi legati all’etica risultano essere di secondo piano. È vero che i cattolici che votano centrodestra avvertono le contraddizioni del PD, dove accanto ai cattolici militano gli esponenti del partito radicale. Però non dobbiamo automaticamente concludere che tra essi vi sia una prevalenza dei temi etici. Le posizioni dei cattolici, infatti, anche sui temi più importanti in merito ai quali si è dibattuto (convivenze, testamento biologico, e così via) non sono sempre univoche. Così come va sottolineato il fatto che anche cattolici molto osservanti tendono a manifestare un certo disagio rispetto all’ipotesi che la Chiesa dia loro indicazioni di voto. Nello stesso tempo dobbiamo considerare che i temi etici sono poco “premianti” dal punto di vista elettorale: lo sono molto di più quando la congiuntura economica è più favorevole (vengono chiamati infatti “temi postmaterialisti”). Oggi prevalgono i temi economici, e quindi i temi etici vengono generalmente messi un po’ in secondo piano.

Piepoli: Questa è una cosa che non dipende dal giudizio di un privato cittadino, dipende da cosa vuol fare la Chiesa. Se la Chiesa rimane sulle posizioni agnostiche del precedente Papa i voti dei cattolici si disperderanno casualmente come, all’inizio della settimana scorsa, Ilvo Diamanti ha descritto su La Repubblica. Se viceversa la Chiesa intenderà intervenire più profondamente nel tessuto politico italiano, può darsi che assisteremo ad un potenziamento dei partiti cattolici, in particolare l’Udc.

È possibile tracciare un profilo, sul piano elettorale, dei giovani? Per chi voteranno e sulla base di quali riflessioni?

Pagnoncelli: I giovani (indicando con questa categoria la fascia di età tra i 18 e i 30 anni) tradizionalmente accentuano il proprio voto sui partiti estremi, però in questa fase di riconfigurazione dell’offerta politica – con partiti nuovi – non c’è una grossa differenza rispetto alla graduatoria dei partiti tradizionali: al primo posto c’è il PdL, al secondo il PD, e così via. Ci sono accentuazioni un po’ diverse tra le donne e gli uomini: le donne sono leggermente più concentrate sul PD e sulla Sinistra Arcobaleno, mentre gli uomini tendono a premiare il PdL, la Lega e Di Pietro. Nella Destra di Storace, infine, i giovani uomini sono presenti in misura maggiore rispetto alle giovani donne.

Piepoli: Sì, i giovani tendono a votare a destra. E questo perché la destra promette loro “panem et circenses” e i giovani non vogliono studiare, vogliono “panem et circenses”, pagati entrambi dai genitori oggi e dallo Stato domani. Questo è il vero pericolo dell’Italia oggi: una classe di giovani che non ha grandi obiettivi e non ha grande fede.

Chi sono e quanti sono gli indecisi di questa tornata elettorale?

Pagnoncelli: Non dobbiamo pensare che gli indecisi siano un gruppo ben definito. Il loro numero può crescere più ci si avvicina alla campagna elettorale, perché molti cittadini si informano sull’offerta politica e questo può aumentare – invece di diminuire – i dubbi. In linea di massima è nelle ultime giornate della campagna elettorale che si fanno le scelte più importanti (vale a dire se andare e votare e che cosa votare). Al momento abbiamo ancora un terzo di indecisi tra gli elettori, che è più o meno la percentuale di due anni fa. Di questi la metà manifesta l’intenzione di starsene a casa, mentre l’altra metà è fatta prevalentemente di elettori delusi dell’Unione (due anni fa i delusi erano in maggioranza elettori della CdL).

Piepoli: Gli indecisi non esistono, ciascuno di coloro che si dichiara “indeciso” sa nell’inconscio che cosa voterà. Noi nelle nostre mappe non consideriamo gli indecisi e le nostre mappe si sono dimostrate, infinite volte, probabilisticamente corrette.

Che affluenza è prevista alle urne? Sarà minore o analoga a quella delle Politiche del 2006?

Pagnoncelli: E’ sempre molto difficile rispondere a questa domanda, perché non tutte le persone che pensano di astenersi lo dichiarano, dal momento che temono una sorta di “censura sociale” per il loro comportamento. Vi sono alcuni che invece esibiscono con orgoglio l’intenzione di non andare a votare. Sicuramente la semplificazione del quadro politico potrebbe portare alcuni elettori a non riconoscersi più nei partiti che si presentano, e quindi spingerli ad astenersi.

Piepoli: L’affluenza da noi prevista è del tutto analoga a quella del 2006. Ci sarà circa l’84% di elettori che andranno a votare e circa il 78% di voti validi.