Questa campagna elettorale è iniziata con toni molto moderati, grazie anche alla presenza di due leader come Veltroni e Berlusconi che sembravano disposti a un certo rispetto reciproco; negli ultimi giorni, invece, abbiamo assistito ancora a scontri verbali di vario genere, e alle consuete polemiche al vetriolo. Qual è, conclusa la partita, il suo giudizio sulla qualità di questa campagna elettorale?



Paolo Del Debbio – Io in generale non credo alle campagne elettorali dove si fa tutto in punta di fioretto. Non mi entusiasmano i richiami, se pure fatti dai presidenti della Repubblica di turno, al fatto che ci vuol più dialogo e meno discussione. Non mi fan né caldo né freddo i richiami di chi dice che le discussioni sono troppo aspre e ci vorrebbe più spirito civico. Al di là delle offese personali e delle rozzezze varie, tutto il resto della discussione, quando c’è, non è che un bene, non un male. Anche perché tra i principi della società liberale c’è esattamente questo: una grande varietà di opinioni, e anche un certo contrasto virile nell’affermarle e nel discuterle. Com’è andata questa campagna elettorale? Meno male che c’è stato un po’ di pepe in fondo, altrimenti ci saremmo addormentati tutti per l’eternità.



Aldo Cazzullo – È stata una campagna abbastanza diversa dalle altre. Non era impossibile immaginare che poi i nodi sarebbero venuti al pettine, e quindi anche lo scontro si sarebbe inasprito, tra due personaggi diversi e incompatibili come Berlusconi e Veltroni. La vera novità è che non ci sono state soltanto due coalizioni a fronteggiarsi, ma c’erano nuovi candidati. La Santanché, che è stata la rivelazione della campagna elettorale; Casini, che ha fatto una campagna buona, coraggiosa; Bertinotti, che all’inizio è sembrato un po’ imbolsito, poi un po’ di spazio se l’è guadagnato anche lui. Avendola seguita sul campo, la mia impressione è che sia stata una campagna elettorale molto bella nelle città, sul territorio. Ovunque sia andato a seguire candidati anche molto diversi tra loro, ho sempre trovato piazze piene, con molto interesse da parte della gente; mi è successo con Storace, con Veltroni, con la Bindi, con Giuliano Ferrara, con D’Alema, con Tremonti. È stata invece davvero molto bolsa la campagna elettorale televisiva, molto noiosa, e questo perché non si sono fatti i faccia a faccia. Queste trasmissioni con un solo candidato che parla e parla e parla, interrotto molto di rado, sono cose che ci hanno un po’ stufato e che non vorremmo vedere più.



Qual è il suo giudizio sulla qualità dei programmi, e sul loro peso nella conduzione della campagna elettorale? I leader, nelle loro dichiarazioni e promesse, sono stati fedeli alle indicazioni scritte nei programmi? E lo saranno, una volta insediatisi al governo?

Del Debbio – Per questa scellerata e sgangherata legge della par condicio alla fine non ci sono stati confronti tra i maggiori esponenti politici, cioè Veltroni e Berlusconi. È stato dunque ben difficile, in dibattiti in cui ci sono cinque o sei leader, discutere di programmi, e questo è un punto fondamentale. Il programma viene in risalto, nelle campagne elettorali internazionali, esattamente in modo proporzionale al fatto che, essendo due i candidati leader, bisogna a un certo punto, di fronte a un tema, proporre due soluzioni diverse, oppure dire anche che le soluzioni sono simili, ma comunque dirle, indicarle chiaramente. In una discussione a cinque o a sei è difficile che emerga con chiarezza quali sono le differenze programmatiche, perché viene un gran calderone, un minestrone dove non si capisce niente. Comunque sia, non è vero che i programmi sono uguali, non è vero che le filosofie dei due programmi sono uguali, e si sbaglia, in Italia o all’estero (siano pure importantissimi istituti), chi sostiene che sono programmi uguali. Li guardino un po’ bene, guardino alla storia dei vari personaggi che li hanno scritti e si accorgeranno che sono molto diversi.

Cazzullo – La fedeltà ai programmi si misura dopo il voto, non prima. La mia impressione è che le elezioni in Italia quasi mai si vincono sui programmi. Si vincono raccontando il Paese, dando un’idea, rappresentando un progetto, magari una parola d’ordine, un modo di vedere le cose; non è con i programmi che si convincono gli elettori. Dipende molto dalla personalità del leader, dipende dalle circostanze, ed è ovvio che le circostanze, almeno inizialmente, penalizzavano il centrosinistra, vista l’impopolarità del governo Prodi. Sono cose che contano più che non i programmi; non a caso, dopo il voto, il governo, come è giusto che sia, si regola in base alle circostanze, difficilmente applica il programma come se fosse il Vangelo. Non è mai accaduto, né con Berlusconi, né con Prodi. Vedremo, ora che sono in campo della coalizioni più coese, se i leader potranno essere chiamati ad una coerenza maggiore con quanto promesso in campagna elettorale.