Al Governo che si sta per formare si chiederà molto per risollevare le sorti di un Paese in crisi. Ma che compito compete a tutti noi? Da un film molto popolare di qualche anno fa, Rocky 3, possiamo trarre un suggerimento. Il pugile protagonista del film, dopo aver conquistato il titolo mondiale per la sua eccezionale grinta e umanità, smette di allenarsi con serietà e viene così sonoramente sconfitto. Il suo primo rivale, che nel frattempo gli era divenuto amico, gli rivela il motivo della sua sconfitta: «Non hai più gli occhi di tigre!». Gli propone così di ricominciare da capo. Rocky, dapprima riluttante, lo segue, smette di rimpiangere i tempi che furono e inizia a sottoporsi di nuovo ad allenamenti massacranti, in una povera palestra di Los Angeles, con ragazzini alle prime armi. Così, lui, picchiatore, cambia completamente: diventa un pugile agile e, con rinnovati “occhi di tigre”, vince l’avversario che l’aveva precedentemente battuto



L’apologo tratto dal film ben si adatta all’Italia di oggi. Il nostro Paese, distrutto dalla guerra, seppe inserirsi tra i paesi più sviluppati del mondo, grazie all’intraprendenza, alla creatività, allo spirito di sacrificio dei suoi cittadini. Oggi, dopo aver raggiunto il benessere, non sembra più in grado di affrontare la crisi perché non è disposto a rischiare ciò che ha conquistato per ricominciare da capo. Chi ha vissuto la campagna elettorale nelle piazze, ha visto che molta gente si dimostra delusa e rassegnata e riversa sulla politica tutte le colpe di una situazione carica della stanchezza esistenziale di tutti. Ben diversa appare la situazione degli extracomunitari che vivono in Italia. La voglia di costruire un futuro per loro e i loro famigliari, spesso lontani, li rende pieni di passione verso la realtà, disposti a qualunque sacrificio, voraci verso le occasioni di lavoro che italiani anche bisognosi rifiutano. La fame dà loro gli “occhi di tigre”, simili a quelli che avevamo noi anni fa. E allora, da dove ricominciare?



Nella nostra tradizione, anche prima del dopoguerra, per molti secoli, c’è stato un motivo di impegno ben più forte della stessa fame, che ha reso il nostro popolo appassionato alla realtà e capace di affrontare anche la fame. E’ stata quella fede cristiana che aiuta a scoprire la bellezza del reale, pur in mezzo a tante difficoltà e contraddizioni, che spinge a valorizzare ogni piccola possibilità per migliorare la propria condizione di vita attraverso il lavoro, che considera unica e irripetibile ogni persona, che apre al sacrificio di se stessi a vantaggio di chi si ama e del proprio popolo. E’ stata, ancora, quella passione ideale per la giustizia e per il progresso, che ha permesso di costruire condizioni di vita più dignitose per sé e per i propri simili. Contrariamente a quanto ripetono gli intellettuali che invocano il definitivo sradicarsi dalla nostra storia, solo riprendendo a vivere in modo critico e attuale questa fede o questa passione ideale, possono rinascere in noi “occhi di tigre” capaci di farci iniziare di nuovo a lottare senza dormire su allori che non ci sono più. Un’educazione a questa posizione umana è ciò che è più urgente: senza di essa poco potrà il desiderio di cambiamento che queste elezioni hanno messo in luce.

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