Luciano Pizzetti, deputato eletto nelle liste del Pd della Lombardia, è forse colui che più di ogni altro, all’interno del partito di Veltroni, può parlare di questione settentrionale: responsabile nazionale del Pd per il federalismo, è da tempo impegnato sul campo per riguadagnare alla sinistra la causa del Nord. A lui chiediamo di intervenire sulla proposta, lanciata oggi dal quotidiano La Repubblica, di un Pd del Nord, come partito locale federato al partito nazionale.
Cosa pensa di questa proposta? Le sembra una riposta adeguata, o ha forse il difetto di essere una sorta di inseguimento del centrodestra?
Secondo me è una risposta semplificata a un problema complesso. La proposta ha in sé una sua plausibilità, e in passato avevamo ragionato di questo, e avevamo anche fatto documenti in questa direzione. Quindi sarebbe in sé una strada percorribile. Ma il problema è che si tratta di un’analisi datata, e non tiene conto di quanto accaduto con questo voto. Quando la Lega raggiunge consensi ben oltre i limiti padani, e ottiene deputati anche nelle Marche, significa che il fenomeno è uscito dai limiti del Lombardo-Veneto. Il Pd stesso deve farsi carico di questa nuova esigenza di rappresentanza, e non credo che la risposta debba venire solo all’interno di un partito federato: credo che il partito nazionale debba farsi carico di questo problema. E bisogna dire che Veltroni ha già accolto nel Pd istanze che dal Nord portavamo avanti da tempo e che finalmente sono state accolte.
Perché allora il Pd non è riuscito a far valere questa novità già nelle ultime elezioni? Anzi, il problema al Nord sembra essersi aggravato.
Da un lato il tempo è stato breve, dall’altro non siamo riusciti in pochi mesi a fare dimenticare una cultura politica che per anni ha considerato una serie di istanze del Nord come prodotto del puro campanilismo, o della ricchezza di una parte del Paese. Quindi insisto nel dire che la proposta di Repubblica è una scorciatoia: il tema è più grande, e un tempo potevamo rispondere così, ma adesso non basta quel tipo di risposta. Come sempre arriviamo cinque minuti dopo. Bisogna inoltre considerare che al Nord il voto lo prende la Lega, ma al Sud il voto lo prende il Pdl: quindi è una dato strutturale del Pd, che non fa breccia in ambienti che un tempo erano un presidio naturale, ma ora non lo sono più.
Il direttore de Il Riformista, Antonio Polito, intervistato da ilsussidiario.net, ha sottolineato l’importanza che la sinistra riveda il proprio rapporto con il sindacato e con il pubblico impiego. Cosa ne pensa?
È una strada su cui siamo già incardinati. Ad esempio, il tema della detassazione degli straordinari per noi è importante, mentre il sindacato dice no. E il Pd in questo non è assimilabile alla posizione sindacale. Dobbiamo rendere evidente che siamo una forza che spinge sul dinamismo della società, e non funge da freno. In questo si colloca anche la valorizzazione del privato: non è pubblico il soggetto, ma è pubblica la funzione che un soggetto svolge.
C’è poi il problema di capire le esigenze del tessuto imprenditoriale del Nord, delle tante Pmi: come il Pd può recuperare il rapporto con questo mondo che rappresenta l’ossatura economica settentrionale, e non solo?
Bisogna smettere di avere la presunzione pedagogica per cui la piccola impresa deve diventare grande: la piccola impresa è in sé un pilastro dell’economia del Paese, senza bisogno che si trasformi in qualcosa di diverso. Poi bisogna sì aiutarla negli investimenti, e nello sviluppo; ma noi dobbiamo valorizzare la piccola impresa come nerbo del Paese.
In sintesi, dunque, che cosa è cambiato per il Pd con queste elezioni?
Diciamo che ora il velo è caduto: il Pd ha fatto la scelta di mettersi su una strada nuova. Io non sono d’accordo quando si dice che è un fatto grave che la sinistra estrema non sia più in Parlamento. Per altro è la stessa forza politica che voleva il sistema tedesco, che ha lo sbarramento al 5%, e avrebbe dunque portato alla sua esclusione comunque. Ma quello che conta è che un pezzo rilevante dell’elettorato della sinistra radicale ha scelto la Lega. Il problema allora non è cavalcare quella radicalità, ma rappresentarla per portarla sul terreno delle riforme. Questo è lo scopo del Pd, che non bisogna smarrire. Sarebbe una sciagura ritornare indietro su questo.