Più che federalismo fiscale tout court, un federalismo “possibile”. Il voto di settimana scorsa ha rimesso al centro dell’agenda politica l’annoso tema dell’autonomia fiscale, della sussidiarietà finanziaria. Non senza la richiesta di una certa competizione tra regioni diverse sul modello di un moderno europeismo. In sostanza: come applicare compiutamente l’articolo 119 della Costituzione, modificato nel 2001 dal centrosinistra, che assegna a enti locali e Regioni «autonomia di entrata e di spesa», insieme a una compartecipazione al gettito dei tributi erariali? Il tutto garantendo «un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante». Efficienza ed equità, insomma. Ecco i due corni finora inconciliabili del federalismo fiscale in salsa italica.
Sul punto gli studi del Sole 24 Ore sono lampanti: “i prelievi locali viaggiano in disordinata crescita. L’anno scorso, i Comuni hanno chiesto ai loro abitanti 434 euro pro capite, con un aumento del 10% rispetto a due anni prima. Nello stesso lasso di tempo, il legislatore ha deciso nuovi sconti per l’Ici, adempimenti in più nella gestione delle addizionali Irpef, tagli all’aliquota Irap”. Scambiando in qualche modo per federalismo compiuto un sistema basato in gran parte sulle addizionali.
La dialettica politica alle viste, banalmente, è tutta qui. Non solo tra maggioranza e opposizione, bensì dentro la stessa coalizione che si appresta a governare il paese in cui, passato l’entusiasmo elettorale, potrebbero affiorare divaricazioni tutt’altro che secondarie. Da un lato c’è infatti il muscolarismo della Lega che morde il freno per andare subito all’incasso politico. Lo sta già facendo in questi giorni, sentendo il peso e l’onere di corrispondere immediatamente al grande credito elettorale che vasti ceti del nord, non solo il tradizionale zoccolo duro, hanno assegnato al Carroccio. Per sintetizzare, è la proposta di Giancarlo Giorgetti: il 90% dei gettiti tributari erariali dovrebbe restare alla Regione che li ha prodotti. Dall’altro, invece, per dirla con Giulio Tremonti, solo «un federalismo solidale e unitario è possibile». Sia perché l’Mpa di Raffaele Lombardo è una gamba fondamentale nella coalizione berlusconiana (“per un po’ di tempo ci sarà bisogno ancora di un meccanismo perequativo che metta le regioni nelle stesse condizioni di partenza”, va ripetendo da giorni Lombardo). Sia perché, ricordiamolo, il Pdl esce dal voto del 13-14 aprile almeno parzialmente meridionalizzato. E’ questa insomma la via stretta dentro cui dovrà muoversi il Berlusconi Ter. Non sarà facile.
Come riuscirci? La linea di mediazione potrebbe essere rappresentata dal federalismo fiscale della Regione Lombardia, che punta su una robusta compartecipazione al gettito Iva (80%), a quello Irpef (15%) e su alcune imposte sui consumi, da trattenere interamente sul territorio che li ha generati. Uno schema, questo, su cui un Pd che voglia darsi un profilo autenticamente riformista e appealing nel nord Italia potrebbe convergere. In fondo, al Pirellone è già un biennio che sulle grandi scelte regionali (Malpensa, competitività e federalismo) va in scena una nuova maggioranza variabile formata da Pd e ex Cdl. Senza contare che l’ex Dl, Giuseppe Adamoli, è stato presidente della Commissione Statuto, votato in modo bipartisan qualche settimana fa. Anche se il vero nodo gordiano da tagliare riguarderà il fondo perequativo che deve garantire sopravvivenza alle Regioni in cui lo shock federalista, sul breve, taglierebbe trasferimenti e risorse. Le dinamiche di territorio sono infatti impietose: la Lombardia produce più di un quinto del reddito nazionale. Uno sproposito rispetto a molte regioni del Sud. Sul punto però occorre capirsi.
Perché è esattamente il cuore della questione settentrionale (insieme all’emergenza sicurezza) e l’origine della cosiddetta secessione di velluto che da ormai un ventennio attraversa il paese, dopo che si è rotto il patto fiscale nord-sud che ha retto il paese nell’era repubblicana: solidarietà non può voler dire impunità per bilanci disastrati e ripiano automatico dei debiti sanitari di Campania e Lazio da parte delle regioni virtuose del nord. Il cittadino pagatore non è più in grado di sopportare una tassa occulta del genere né, politicamente, vuol farlo, come dimostra il voto al nord da quindici anni a questa parte. Prima il Pd lo capirà, prima tornerà competitivo sopra il Po.



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