Nella vittoria del centrodestra, alle recenti elezioni, un ruolo essenziale è stato svolto da due partiti territoriali come la Lega Nord e il suo Movimento per l’Autonomia. Quali sono le ragioni di questo successo?

Si tratta di movimenti legati al territorio che reclamano il federalismo, che danno un senso alla politica perchè ognuno di essi, con i principi ispiratori e con i valori che sicuramente non dimenticano, propongono una soluzione ai problemi delle comunità e delle singole persone che i partiti nazionali nemmeno immaginano più. I vecchi partiti pensano di cavarsela con i soliti fatti, ma è il teatrino della politica: la politica ha un senso se serve alla gente, se è servizio. Servizio vuol dire soddisfare i bisogni reali della comunità. La Lega Nord si fa carico di problemi relativi alla sicurezza, all’immigrazione clandestina, al federalismo fiscale. Noi al federalismo, che ovviamente promuoviamo, aggiungiamo la solidarietà. Occorre tener conto del fatto che siamo di fronte a una situazione economico-sociale realmente drammatica, quella del Mezzogiorno. Fatta da prodotto interno lordo ai minimi, ultimi posti nelle graduatorie europee quanto a reddito pro capite, carenza di infrastrutture che non sappiamo in quanti decenni si potrà colmare, criminalità opprimente. Sono tutti ritardi dovuti – lo riconosciamo, in parte anche alla nostra responsabilità – a un assistenzialismo che non solo non paga, ma impoverisce. La svolta che noi proponiamo è fondata prevalentemente sul federalismo e sull’autonomia.



Il Movimento per le Autonomie e la Lega Nord sono due partiti la cui identità è fondata sul federalismo, elaborato però sulle esigenze e sui bisogni di due territori diversi. Ne avete un’idea comune? Quale può essere il punto di incontro? Per esempio la questione fiscale o che altro?

La Lega Nord propone un federalismo fiscale che non credo possa attuarsi se non come solidale, anche perchè per un po’ di tempo ci sarà bisogno ancora di un meccanismo perequativo che metta le regioni nelle stesse condizioni di partenza; dopo di che ciascuno dovrà competere per tenere il passo con gli altri. Noi abbiamo già la variante al federalismo fiscale, è scritta all’art. 37 del nostro Statuto e potrebbe ben adattarsi per altre regioni meridionali, ma secondo noi la soluzione più utile è quella della fiscalità speciale o compensativa.
Una fiscalità che aiuti l’insediamento delle imprese è stata introdotta con successo in Irlanda e si prospetta molto più importante dei contributi a fondo perduto, che potranno aiutare un’impresa a nascere, ma non cambiano il contesto complessivo. In Sicilia occorre tempo perchè cambi il contesto complessivo: realizzazione di infrastrutture a partire dal Ponte sullo Stretto, da farsi in project financing, con una operazione che quindi non grava, se non in minima misura, sul bilancio dello Stato. Seconda difficoltà da rimuovere e da compensare con la fiscalità di vantaggio è quella relativa alla lotta alla criminalità. Occorre poi un sistema di credito “amico”, capace di favorire lo sviluppo del territorio cui opera; non mi sembra che il sistema creditizio che attualmente opera in Sicilia abbia questo primario obiettivo. In questo modo si potrà applicare la fiscalità di vantaggio: piuttosto che essere applicata in una logica assistenzialista, che ridurrebbe le imprese a cattedrali nel deserto poi costrette a chiudere, aiuterebbe invece la produzione piuttosto che l’impianto. L’imprenditore coraggioso, così come è avvenuto in Irlanda, potrebbe poi puntare sui territori del Mezzogiorno, che comunque presentano anche vantaggi: risorse umane che invece di emigrare potrebbe lavorare nel proprio territorio a condizioni favorevoli, un ambiente per certi aspetti ancora pulito e libero con grandi aree da occupare, con zone industriali che, nel Sud, sono pressoché vuote, mentre al Nord la situazione è all’opposto. C’è poi un sistema universitario e formativo che comincia a mostrare isole di eccellenza: in Sicilia la microelettronica e la ricerca farmaceutica avanzata negli anni scorsi sono decisamente cresciute. Noi crediamo che possa essere questo il nostro sistema fiscale ideale.



In quanto tempo e con quali passaggi potrà essere introdotto il federalismo solidale nel nostro Paese?

Occorre un meccanismo di perequazione che duri quanto necessario e consenta di colmare lacune, debiti e ritardi, nelle infrastrutture e nei servizi. Ovviamente questa fase non può essere eterna. Il federalismo fiscale, come previsto dall’articolo 37 del nostro Statuto, sarebbe valso circa 400 miliardi di euro se fosse stato attuato dal 1955 ad oggi e ciò soltanto per le attività di raffineria del petrolio e di produzione di energia termoelettrica. L’articolo 37 dello Statuto prevedeva infatti che, anche se le sedi legali delle società fossero state altrove, l’equivalente delle tasse relative alle produzioni che si realizzavano in Sicilia doveva essere versato alle casse della Regione. 400 miliardi di euro significano una settantina di ponti sullo Stretto. E penso proprio che avrebbe comportato la gestione autonoma e responsabile dell’economia della Sicilia.



Dopo la vostra vittoria, e quella della Lega, si sono scatenate tutte le interpretazioni possibili: in molti hanno visto il voto riscosso da formazioni federaliste – è il caso dell’MpA – come un voto di protesta, una sorta di sfiducia che “esplode”. Cosa ne pensa di questa interpretazione?

No, la nostra vittoria è una presa di posizione nei confronti di un centralismo sprecone e inefficiente. Non è affatto una spinta alla secessione, ma semplicemente la domanda di una politica diversa, pur non trascurando certi principi e i valori. Fiscalità solidale significa centralità della persona, attenzione a uomini e a un territorio, il Mezzogiorno, che hanno bisogno di molta solidarietà. Un sistema politico-istituzionale e fiscale che si occupi di affrontare i problemi della gente e di portarli correttamente rappresentati nella sede del Parlamento nazionale.

Leggi anche

TAGLIO DELLE REGIONI?/ Dalla Francia una lezione al federalismo italianoJ'ACCUSE/ Il federalismo di Renzi e Ncd? Nasconde il centralismo peggioreSCENARIO/ Il giurista: l'asse Napolitano-Renzi può rovesciare il "federalismo all'italiana"