Da Bolzano il presidente Napolitano è tornato sul federalismo fiscale: “Per il federalismo fiscale – dice il capo dello Stato – ci dovrà essere una legge nazionale. Già il precedente governo aveva presentato un programma. Vedremo quali intenzioni e linee programmatiche enuncerà il nuovo Governo, da qui a non molti giorni”. Che ne pensa del ddl elaborato dal governo Prodi? Secondariamente: quale tipo di “autonomia” oggi in atto è meglio, secondo lei, prendere come riferimento?

Innanzitutto l’intervento di Napolitano mi sembra importante perché di fatto invita ad aprire un confronto serio, e speriamo fattivo, tra le forze politiche su un tema decisivo. Troppo spesso il federalismo fiscale, visto come un grimaldello in mano alla Lega di Bossi, è stato demonizzato e ritenuto “colpevole” di voler mandare al macero l’unità della nazione. Una banalizzazione fuorviante, perché se si va indietro nel tempo, a Vincenzo Gioberti e Carlo Cattaneo, o al pensiero di Marco Minghetti, si capisce che la cultura federalista, in Italia, non è stata un accidente. Il merito di Bossi sta nell’averla attualizzata: in molti casi la Lega ha sbagliato i toni, non la sostanza dell’analisi. Detto questo: credo occorra una legge nazionale di riferimento, ma credo anche che il progetto elaborato dal governo Prodi non sia sufficiente, nel senso che risponde ad una logica di compromesso con le Regioni che non scalfisce più di tanto il monolite statalista. Va invece valorizzata la partita dei tributi propri, sull’autonomia impositiva regionale e locale bisogna avere coraggio. Su quale base discutere? Ad esempio, il progetto della Lombardia, che come è noto prevede una compartecipazione al gettito Iva (80%) e a quello Irpef (15%) da “giocare” sul territorio che li ha prodotti mi pare una buona base di discussione.



Visco, sull’Unità di oggi, ha detto che il federalismo fiscale finora ha prodotto aumenti di spesa pubblica e paralisi decisionale e che “la proposta di legge delega del governo Prodi” è “condivisa dalle Regioni e rappresenta il più elevato punto d’incontro possibile e l’unico praticabile”. È d’accordo?

Il federalismo è stato demonizzato e banalizzato, come ho detto prima. Oppure, quando lo si è voluto mettere sul tavolo (penso alla riforma del titolo V della Costituzione del 2001) lo si è fatto “all’italiana”, moltiplicando competenze e costi. Come nel caso del pubblico impiego: è aumentato a livello locale ed è continuato a crescere a livello centrale. Esattamente il contrario di quanto accaduto con i Laender in Germania o in Spagna. Suggerisco di leggere una bella ricerca di Unioncamere Veneto sul tema, con tanto di grafici e tabelle.



Il federalismo fiscale per alcuni è la chiave per controllare (e evidentemente ridurre) la spesa pubblica, per gli avversari la moltiplica. Che ne pensa? E i modelli di Lombardia e Veneto?

Un buon federalismo fiscale tende a mettere sotto controllo la spesa, non a dilatarla. La legge finanziaria del Governo Prodi ripiana con 9 miliardi (di fiscalità generale) i buchi di cinque Regioni, a partire da Lazio e Campania, che sono competenti in tema di sanità ma che hanno sforato tutti gli obiettivi. È forse questo un sistema corretto ed equo? Il federalismo buono è quello pragmatico, non quello ideologico. Per questo dico: cominciamo a guardare al progetto della Lombardia.



Il centrodestra parla di abolizione dell’Irap, ma dovrà ovviamente fare i conti col mancato gettito, che finanzia la spesa sanitaria delle Regioni. Come uscire dall’impasse?

L’abolizione dell’Irap, una tassa odiosa che penalizza il lavoro, è un progetto sacrosanto. Ma ovviamente deve fare i conti con la realtà.

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