Da Bolzano il presidente Napolitano è tornato sul federalismo fiscale: “Per il federalismo fiscale – dice il capo dello Stato – ci dovrà essere una legge nazionale. Già il precedente governo aveva presentato un programma. Vedremo quali intenzioni e linee programmatiche enuncerà il nuovo Governo, da qui a non molti giorni”. Che ne pensa del ddl elaborato dal governo Prodi?

Il disegno di legge 3100 elaborato dal centro-sinistra è stato presentato alla Camera, ma non ha fatto passi avanti perché era un faticoso compromesso tra Regioni ed Enti locali che avevano obiettivi diversi, idee diverse dell’autonomia. Direi un compromesso tra centro-sinistra e centro-destra che ha dato luogo a un ddl poi disconosciuto da tutti: oggi non si trova più chi ne parli.
Credo la questione del federalismo fiscale vada ripensata da capo, perché quel disegno di legge prevede una perequazione molto spinta dei fabbisogni per i servizi per cui sono previsti i Lep e per le funzioni fondamentali anche dei comuni di minori dimensioni, fino al trasporto pubblico locale.
Queste funzioni, tutte assieme, rappresentano una quota molto rilevante del bilancio delle Regioni. Solo la sanità oggi costituisce circa il 70% del bilancio di una Regione-tipo. Se facciamo una perequazione pressoché totale su queste funzioni, in base ai fabbisogni, ancorché calcolati a costi standard, togliamo qualunque incentivo a gestire in maniera efficiente le risorse da parte delle Regioni. Se l’obiettivo del federalismo è anche quello di ottenere una gestione responsabile ed efficiente delle risorse, credo che una situazione come questa non si possa raggiungere e che ci sia anche qualche rischio per il bilancio pubblico nel suo complesso. Quindi bisogna ripensare in maniera sostanziale il federalismo fiscale. C’è una proposta della Regione Lombardia, già depositata in Parlamento come progetto di legge, che è completamente diversa.



Cosa ne pensa?

Si rifà alle conclusioni dell’Alta Commissione per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, la Commissione Vitaletti, con qualche aggiunta; perché lì si prevede che ci sia un’ampia autonomia tributaria, che le Regioni possano gestire le imposte attribuite con ampi margini, che incassino direttamente le imposte, che l’Agenzia delle Entrate diventi un organo al servizio non solo dello Stato ma anche delle Regioni e degli Enti locali, con funzione ordinaria, non soltanto quando gli Enti territoriali decidono di stipulare convenzioni. Si prevede che l’Irpef venga divisa in due parti: un’Irpef erariale, si potrebbe dire federale, una volta realizzata in pieno la riforma costituzionale, e un’Irpef regionale con un’aliquota di almeno il 15%. Quindi si tende a mutuare l’ordinamento spagnolo dei tributi ceduti.



Qual è la differenza fondamentale, secondo lei, dell’ipotesi “lombarda” rispetto alla prima, quella del ddl delega?

Sicuramente è un’ipotesi più elastica. La perequazione è prevista, ma in modo assai meno drastico rispetto a quanto previsto dal disegno di legge 3100. Disciplina il sistema perequativo con una “ripartizione delle quote del fondo perequativo in modo da ridurre di non oltre il 50% le differenze di capacità fiscale per abitante”, è quanto scritto nel progetto di legge della Lombardia. Poi si parla di controllo su come vengono spesi i fondi da parte delle Regioni percipienti le quote del fondo perequativo, e di incentivo alla buona gestione e penalizzazione nel caso di gestione inefficiente.
Credo che questo sia un punto qualificante: qualunque sia il disegno di legge che andrà in Parlamento, dovrà recuperare una parte di questi concetti. Perché non possiamo immaginare che in alcune Regioni del Mezzogiorno si continuino a sperperare i fondi pubblici che sono trasferiti da Regioni più ricche, redditi che avrebbero potuto anche essere impiegati localmente, generando dei benefici. Abbiamo esempi eclatanti di cattivo funzionamento di alcune amministrazioni meridionali, certo non solo quelle, ma oggi gli esempi più eclatanti sono Sicilia, Campania, Calabria. Questione dei rifiuti in Campania, degli ospedali in Calabria, un eccesso di personale in Sicilia, retribuzioni accresciute, possibilità di pensionamento anticipato. Ci troviamo cioè di fronte a “due” paesi: da una parte si cerca di gestire al meglio le risorse, dall’altra le risorse in gran parte trasferite vengono utilizzate con una certa leggerezza. Data la situazione in cui si trova l’Italia, penso che questo non sia più accettabile: non abbiamo più risorse da sprecare, quindi mi sembra giusto richiedere che ci sia un controllo su come sono spese queste risorse trasferite e che in caso di gestione inefficiente si mettano in atto dei correttivi. Che sono da pensare, ma qualche cosa già esiste in campo sanitario con i patti sanitari. Anche lì è previsto l’affiancamento, è previsto eventualmente un incremento al massimo dell’aliquota dei tributi e delle addizionali, sono previste misure sanzionatorie. Credo che questo approccio debba essere generalizzato e esteso al bilancio delle Regioni e degli Enti locali.



Il federalismo fiscale per alcuni è la chiave per controllare (ed evidentemente ridurre) la spesa pubblica. Visco, però, sull’Unità di oggi, ha detto che il federalismo fiscale finora ha prodotto aumenti di spesa pubblica e paralisi decisionale e che “la proposta di legge delega del governo Prodi” è “condivisa dalle Regioni e rappresenta il più elevato punto d’incontro possibile e l’unico praticabile”. Sul rapporto tra federalismo fiscale e spesa pubblica lei cosa dice?

Non possiamo sciogliere il dubbio perché ci sono delle esperienze nei paesi stranieri in cui il federalismo è servito a contenere la spesa pubblica, in altri c’è stato un incremento di spesa. La discriminante è, credo, la rigidità dei vincoli di bilancio e la concretezza del principio di responsabilità. Dobbiamo stabilire delle norme chiare, da far rispettare in modo rigido, che sanciscano la responsabilità delle amministrazioni territoriali. Oggi, con la gestione centralistica, questa responsabilità è venuta spesso meno; però diventa fondamentale in un sistema tendenzialmente federale, come quello che si va a realizzare. Quindi ci devono essere incentivi ad una buona gestione, e penalizzazioni – fino a togliere una parte della autonomia che è stata concessa – in caso di reiterata gestione sconsiderata.
Quest’ultima, da parte di alcune amministrazioni, genera degli aspetti negativi a carico degli altri soggetti, sia attraverso la crescita del debito pubblico, sia attraverso un danno di immagine. Per cui i rifiuti di Napoli che vanno sulla stampa mondiale danneggiano il turismo anche in altre Regioni; la mozzarella inquinata può mettere in crisi la domanda di altri prodotti alimentari italiani che provengono da altre Regioni, e così via, perché poi l’informazione all’estero non è così precisa.
È giusto che ciascuna Regione abbia un controllo sul bilancio delle altre Regioni, mantenendo naturalmente lo spazio necessario e l’autonomia delle singole amministrazioni. Penso che sia immaginabile un controllo come quello che i governi europei fanno in sede comunitaria sul bilancio degli altri paesi. Oggi ogni paese presenta alla comunità europea il suo progetto di bilancio e la sua legge finanziaria e il Consiglio europeo può chiedere delle modifiche, se ritiene che quelle misure non siano sufficienti o adeguate. Ritengo che in un contesto federale le Regioni debbano avere più o meno gli stessi poteri.

Il centrodestra parla di abolizione dell’Irap, ma dovrà ovviamente fare i conti col mancato gettito, che finanzia la spesa sanitaria delle Regioni. Come uscire dall’impasse?

Nei tempi recenti va di moda chiedere la soppressione delle imposte. Naturalmente non c’è un’imposta che sia gradita al contribuente. L’Irap ha sollevato numerose obiezioni, è forse una delle imposte più odiate, però esiste ormai da parecchi anni, le imprese ormai sono abituate a pagarla, non so quanto valga la pena sopprimerla perché dà ancora un gettito rilevante. Come possiamo sostituirla? Trasferendo il mancato gettito sull’Irpef o sull’Ires? Mi sembra che si lamenti già una pressione eccessiva su queste imposte. Trasferirla sull’Iva? Con un riflesso anche sui prezzi, facendo crescere ancora l’inflazione? Mi sembrano tutte ipotesi non condivisibili, ci sono dei rischi notevoli nella sostituzione dell’Irap con altre imposte. La lascerei così com’è.

Attualmente l’Irap penalizza le assunzioni, perché concorrono alla determinazione dell’imponibile tutte le spese per il personale. Che fare?

L’aliquota dell’Irap è già stata abbattuta, oggi è al 3,9%. Non è poi così elevata, in passato c’erano i contributi sanitari che poi gravavano sul costo del lavoro; oggi ci si dimentica di questo, cioè del fatto che l’Irap ha sostituito i contributi sanitari. Il costo del lavoro è un problema, però non possiamo lasciare le Regioni senza una fonte così importante. Non vedo francamente come sostituirla.

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