L’attuale crisi agricola mondiale sembra cogliere sostanzialmente impreparato un mondo che, forse, si riteneva in grado di padroneggiare l’emergenza. I fattori che l’hanno determinata sono abbastanza evidenti e possono essere riassunti in pochi punti: a) da ormai un quinquennio la domanda di prodotti agricoli per usi alimentari supera stabilmente l’offerta mondiale e quindi si intaccano le scorte in particolare dei tre grandi cereali, riso, frumento e mais; b) nell’ultimo biennio l’impennata dei prezzi di tutte le materie prime trascinata da quelli dei prodotti petroliferi ha portato le quotazioni ai massimi storici da oltre un trentennio; c) la crisi dei mutui americani ha scatenato un’ingente flusso di capitali alla ricerca di occasioni di recupero sui più diversi mercati, compresi quelli delle materie prime agricole, basti pensare che l’attuale volume delle contrattazioni di queste ultime è stimato pari al doppio delle sole transazioni commerciali.
A sua volta la domanda è mossa dall’incremento fisiologico espresso dai paesi che ancora sono a livelli di consumo bassi, da quello dei paesi emergenti come Cina e India che sono in forte espansione da un decennio e stanno passando a consumi più evoluti costituiti dai prodotti di origine animale, da quello in parte già in atto e in più larga misura potenziale legato all’impiego di prodotti agricoli per ottenere carburanti in grado si sostituire il petrolio.
Tutto ciò pone molti problemi, al di là degli aspetti evocatori di passate calamità sempre presenti nell’immaginario collettivo, e induce ad una riflessione sulle politiche agricole, un tema che negli ultimi anni è stato affrontato con un eccesso di confidenza. L’agricoltura in ogni tempo e paese è stata un settore protetto a causa della sua insostituibile funzione di produttrice di alimenti. Il processo di globalizzazione dell’economia mondiale, in atto negli ultimi decenni e accentuatosi a cavallo del cambio di secolo, ha portato con sé una rapida riduzione dei meccanismi protettivi messi in atto dai principali paesi sviluppati, in particolare Usa, Ue e Giappone, a favore di una maggiore libertà di scambio che nelle intenzioni e secondo logica economica risulta vantaggiosa per tutti. In particolare, la politica agricola comune europea, la Pac, fortemente protezionistica, è stata radicalmente modificata a partire dal 1992 riducendo il sostegno accordato ai produttori, le sovvenzioni alle esportazioni, le barriere alle importazioni. Ciò ha condotto in pochi anni ad una maggiore apertura al mercato dell’agricoltura europea e ad una fase di contrazione della produzione, fenomeno peraltro che in parallelo si è verificato anche negli altri paesi sviluppati.
Gli incrementi di produzione che si sono verificati su scala mondiale sono avvenuti, dunque, nei paesi in cui i rendimenti produttivi erano meno elevati e, in particolare, in quelli in cui la sottonutrizione e la malnutrizione sono ancora problemi concreti. I risultati sono più modesti di quelli previsti dagli obbiettivi dei Millennium goals orgogliosamente indicati nel 1997 dalla Fao, ma ci sono. Tuttavia di fronte all’attuale crisi ci si accorge che si trattava di una costruzione ancora fragile. I diversi paesi mondiali di fronte alla prima vera emergenza globale, solo in parte imputabile al solo settore agricolo, sembrano avere perso la testa e reagiscono in modo scoordinato: alcuni hanno bloccato i prezzi, come se questo provvedimento potesse davvero funzionare senza creare fenomeni speculativi, altri hanno chiuso le esportazioni in spregio a contratti già in atto, altri hanno contingentato l’immissione in commercio dei prodotti, le Filippine hanno ridotto le porzioni nei ristoranti mentre in circa 20 paesi del terzo mondo si sono avute vere e proprie sollevazioni di piazza che si sono verificate anche in Egitto e perfino nel Messico.
La situazione è seria, ma non grave se solo non ci abbandonasse all’improvvisazione. In questo contesto, e in analogia con quanto si dibatte per altri settori in particolare dell’industria manifatturiera, si torna a parlare di protezionismo, riaprendo un dibattito che sembrava ormai affidato alla storia. Accade sempre così nei momenti di difficoltà, perché la creazione di barriere sembra offrire maggiore sicurezza. Non è così, anzi si sa che ciò accresce le inefficienze e le disparità, però la soluzione appare a portata di mano.
Di recente il ministro dell’agricoltura francese, Barnier, ha proposto ad esempio come soluzione alla crisi mondiale di ricreare con la consulenza (!) dell’Ue tante Pac per le diverse aree mondiali in modo da ricreare, al riparo di esse, un equilibrio che oggi sembra smarrito. Barnier non si rende conto, evidentemente, che così facendo la crisi si aggraverebbe e si allontanerebbero gli obiettivi di una maggiore equità a livello mondiale, ma il ragionamento va affrontato. In realtà la produzione dei paesi sviluppati può riprendere nell’emergenza per consentire di superarla, ma deve avvenire in un contesto complessivo di rafforzamento dei sistemi agricoli delle diverse aree mondiali.
La creazione di un mercato sempre più grande e unificato amplia le dimensioni dei fenomeni perturbativi, bisogna essere pronti ad affrontare questi e le differenti fasi congiunturali che si presentano, senza tornare al passato e ad un protezionismo che alla lunga danneggia solo i più deboli consolidandone la dipendenza dai più forti. In questo senso le politiche agricole devono essere riportate all’attenzione per tutti quegli aspetti che servono a rafforzare il potenziale produttivo mondiale, in particolare sul versante della diffusione delle tecnologie più innovative adattate ad ogni contesto.
Il mondo avrà sempre più bisogno di materie prime agricole, in particolare se vorrà concedersi il lusso di sostituire in parte con esse il petrolio, senza dimenticare che le crisi congiunturali in agricoltura sono la regola e che ad esse si rimedia solo con l’immissione di tecnologia nei campi dei mezzi di produzione, delle tecniche agronomiche e della genetica, inclusi quegli o.g.m. di cui l’Europa crede di poter fare a meno.



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