È stata la proposta principale del leader dell’opposizione, Mariano Rajoy, durante la campagna elettorale: un contratto di integrazione con cui gli immigrati si impegnano a rispettare i valori e i costumi della Spagna. Il governo della Regione di Valencia, controllato dal PP e presieduto da Francisco Camps, un uomo che potrebbe succedere a Rajoy, ha rilanciato l’idea. Sta lavorando a una legge con la quale gli immigrati riconoscano il modello di convivenza del Paese. In realtà, la formula non avrà molte conseguenze giuridiche. Si cerca, soprattutto, il valore simbolico di un patto con il paese.
Il nuovo ministro del lavoro, Celestino Corbacho, finora sindaco di Hospitalet de Llobregat, una città con il 20% di popolazione composta da immigrati, si è mostrato disposto a dialogare con il PP sul tema. Un vero miracolo nel governo Zapatero, che pretende sempre di mettere da parte l’opposizione. Corbacho è un uomo realista che non nutre nessun tipo di simpatia per il multiculturalismo astratto di alcuni dei suoi compagni progressisti e “intellettuali”. In Spagna non si è mai discusso apertamente di un modello di integrazione, ma la realtà ha aperto la breccia. I sindacati calcolano che, nonostante l’ultima sanatoria di Zapatero del 2005, ci sono già un milione di immigrati irregolari. L’aumento della disoccupazione, soprattutto nell’edilizia, dove lavorano molti stranieri, ha risvegliato nella strada la paura che l’immigrazione ritorni a essere problematica. Proprio Zapatero ha promesso soluzioni flessibili per dare sussidi alla disoccupazione per quegli immigrati che vogliono tornare nei propri paesi di origine.
Popolari e socialisti sono quindi disposti a parlare di immigrazione e integrazione. Ma l’integrazione in una “scala di valori” apre un nuovo dibattito: quali sono questi valori? In una Spagna in chiara crisi di identità, in cui si mette in discussione la sua natura di nazione, nessuno osa affermare in cosa consistono questi valori. In fondo quello che è in gioco è cosa si intende per cittadinanza. I socialisti vogliono imporre una cittadinanza basata sugli “universali astratti” della legge. I popolari, la destra, non capiscono i termini del problema. I cattolici, che potrebbero difendere una cittadinanza plurale, come quella che ha proposto Benedetto XVI alle Nazioni Unite, sono politicamente irrilevanti e preferiscono dedicarsi ad altri questioni.