La guerra in Colombia dura da 30 anni. La lotta contro le guerriglie è stata al centro dell’agenda politica per tutto questo tempo, lasciando un segno indelebile tra la popolazione. Molti sono scettici di fronte alle promesse di porre fine a questo lungo bagno di sangue. Si è spesso detto che non c’è stata volontà politica di porre fine alla guerriglia, ma anche che era impossibile eliminare le Farc con uno stato debole o assente, e comunque gravemente corrotto.
Nonostante questo, gli avvenimenti recenti pongono nuovi interrogativi. La morte in una sola settimana di Raúl Reyes e Iván Rios, due importanti esponenti delle Farc, ha distrutto il mito della guerriglia invincibile e anche l’idea che non ci siano interessi in questa lotta. Oggi molti colombiani credono possibile la lotta alle Farc. Inoltre, l’attacco all’accampamento di Raúl Reyes dimostra che è evidente la superiorità tecnica e miliare del governo. E la morte di Iván Ríos, assassinato a tradimento da uno dei suoi uomini di fiducia, mette in luce le contraddizioni interne delle Farc.
Ci si lascia dunque alle spalle un lungo periodo dove si credeva che ci fosse un equilibrio tra governo e guerriglia. Un patto che sembrava indissolubile, che non permetteva una vittoria militare, ma neppure l’avvio di trattative di negoziazione.
Ora il bilanciamento delle forze è cambiato: la debolezza e le contraddizioni delle Farc sono evidenti. Dopo sei anni di offensiva lanciata da soldati e poliziotti, e tante vittime innocenti, si può dire che si è arrivati a una nuova fase di questa guerra.
L’entusiasmo derivante da questa nuova situazione però contrasta nettamente con il cammino tortuoso e violento che si apre in questa fase di transizione. Gli ultimi capitoli di una guerra, come si sa, sono spesso difficili.
La lotta alla guerriglia, oggi, è possibile grazie alle nuove politiche statali colombiane: in primo luogo l’aumento delle spese militari, poi l’appoggio degli Usa e il rifiuto nazionale della violenza guerrigliera e, infine, l’influsso del narcotraffico che ha “corrotto” i guerriglieri. Tutti questi elementi hanno consentito un controllo del territorio inedito che è stato cruciale per indebolire le Farc.
C’è però da sottolineare che fin tanto che il narcotraffico continuerà a fomentare la guerra, le Farc avranno possibilità di riprodurre il loro apparato militare.
Le possibilità del governo, a questo punto, sono tre. La prima: la repressione. Una soluzione violenta che aprirebbe le porte a un bagno di sangue. La seconda: la negoziazione politica. È doveroso ricordare, però, che le Farc non rappresentano oggi in Colombia una forza sociale o politica con la legittimità necessaria per poter negoziare un’agenda di riforme.
La Colombia ha una democrazia chiaramente riconosciuta come tale, una costituzione garantista e progressista, e, anche se molte riforme sono urgenti, esse non saranno concordate in un tavolo di negoziazione con una guerriglia isolata e criminalizzata.
Tra la caduta militare e la negoziazione vecchio stile c’è una terza via che forse è la più vicina alla realtà della guerra colombiana. Si tratta della combinazione della pressione miliare con l’apertura di uno spazio di negoziazione con regole del gioco completamente diverse.
La pressione militare si richiede perché ancora non si è arrivati ad un punto di svolta. Le Farc hanno sofferto un forte indebolimento, ma non sono ancora cadute. Ci sono grandi spazi che sono stati liberati dalla guerriglia e che non sono ancora sotto il controllo dello stato. Le Farc potrebbero riappropriarsi di quegli spazi e rafforzarsi.
Però, così come Uribe (Presidente della Colombia) ha dimostrato che è in grado di sostenere una guerra, egli stesso deve anche aprire uno spazio per il dialogo. “Abbiamo speso ogni forma possibile e bisognerebbe immaginare qualcosa di diverso” ha commentato recentemente il senatore Rafael Pardo. I modelli di negoziazione del governo sono inapplicabili per le Farc. Con la guerriglia è necessario, oltre al disarmo, tentare un reinserimento politico che sia un avvicinamento al sistema democratico.
Un’offerta del genere probabilmente non interesserà i comandanti delle Farc, ma certamente a molti soldati che hanno cominciato a dubitare della loro forza e a sospettare che il paese faccia altrettanto. Inoltre il tempo è un’arma che si gioca in loro sfavore.
La guerra è una spirale di violenza e i colombiani devono cercare il cammino meno doloroso e più rapido per uscirne. Una soluzione esclusivamente militare o una negoziazione senza obiettivi chiari significheranno prolungare l’agonia.