La sua dimensione economica è certamente poco significativa rispetto agli interventi e alle manovre che vengono promesse in questo periodo di campagna elettorale. Nonostante ciò, il 5 per mille è al centro di programmi politici e di polemiche, il che dimostra che si tratta di piccole risorse, ma di un grande tema politico.
In questi giorni si è riacceso il dibattito circa la necessità di stabilizzare l’istituto. Ripercorriamo in breve la storia di questa legge che ci piace tanto. La finanziaria per il 2006, l’ultima del governo Berlusconi, ha introdotto la possibilità di stanziare il 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a enti senza scopo di lucro, ricerca scientifica e sanitaria, comuni. Nella finanziaria è previsto – evidentemente – uno stanziamento, ma non un tetto.
La norma aveva un carattere sperimentale, e dunque transitorio. Quello che poi è avvenuto è andato oltre ogni aspettativa: un cittadino su due ha devoluto il proprio 5 per mille. La portata innovativa della norma è data dal protagonismo del contribuente, che può decidere liberamente a chi destinare parte delle proprie imposte. La norma, implicitamente, sancisce il principio secondo il quale il singolo è in grado di valutare ciò che è di pubblica utilità.
Le maggioranze che si sono susseguite, anche sollecitate dalla grande attenzione che il fenomeno ha saputo catalizzare, hanno mantenuto lo strumento, seppur sempre in via sperimentale. Prendiamo tuttavia atto che l’approccio al fenomeno è cambiato: sono stati modificati i destinatari, ed è stato inserito un tetto di spesa (inizialmente molto basso, poi innalzato anche grazie a istanze popolari diffuse) per gli anni 2007 e 2008.
Soprattutto, nel 2008 è stato introdotto l’obbligo di rendicontazione delle spese. Tale obbligo non è motivato da un’esigenza di trasparenza finalizzata ad agevolare la scelta del cittadino, ma da volontà di controllo. Infatti, il rendiconto dovrà essere redatto “al fine di consentire il controllo del corretto impiego delle somme” (CM 27-E/2008). Ci si chiede cosa la circolare intenda con “corretto impiego delle somme”, visto che la norma non impone all’ente una particolare destinazione dell’importo ottenuto grazie al 5 per mille.
Fortunatamente (e ad onor del vero) non tutti gli esponenti della maggioranza nell’ultima legislatura hanno manifestato questa posizione. Anzi, vi è stato chi, in termini squisitamente bipartisan, ha “lottato” per evitare lo stravolgimento dell’istituto. È il caso dei deputati e senatori promotori dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, così come del network di fondazioni e associazioni che pubblicamente ha espresso le proprie preoccupazioni a riguardo. O di Gianni Sernicola (capo della segreteria del viceministro Visco), che occupando un ruolo ed una posizione delicata ha voluto giocare tutte le carte in favore di questa battaglia.
L’auspicio è che la prossima maggioranza di governo legga nella massiccia adesione al 5 per mille quello che tra le sue righe è chiaramente scritto: cioè che la voglia di costruzione che anima il nostro paese è indomabile e forse non la si può spiegare; ma riconoscere, questo sì.
Pertanto, ci attendiamo che il 5 per mille sia stabilizzato senza che ne sia intaccata la natura di legge “amica” della libertà.



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