«È demagogia assoluta. Si inventano cose che non stanno né in cielo né in terra»: il presidente della Lombardia Roberto Formigoni liquida così la lettera inviata ieri dal segretario del PD Walter Veltroni a Berlusconi chiedendo un patto di lealtà ai principi fondanti della Repubblica.
«Siamo partiti nazionali che hanno dimostrato una concezione forte di difesa del Paese – ha aggiunto – abbiamo spiegato in lungo e in largo che il federalismo è un modo per garantire un miglior funzionamento all’Italia intera». E dunque «non è certamente il signor Veltroni che deve difendere la Costituzione o parlare di tricolore. Devo ricordare che è stato il nostro schieramento a inserire nella Costituzione la difesa di Roma Capitale, mentre loro non ci avevano mai pensato, e che dopo anni di sconfitte da Milano e dalla Lombardia è partita la riscossa nazionale con la vittoria dell’Expo».

«Caro Berlusconi, mi rivolgo a lei perchè penso si debba condividere, da italiani prima che da candidati alla guida del paese, una sincera preoccuppazione, resa tale da recenti atti e dichiarazioni politiche». Comincia così Walter Veltroni la lettera che oggi ha indirizzato al candidato del PdL, e suo principale antagonista nella corsa a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi. Veltroni sentiva «doveroso assumere, di fronte al popolo italiano, a tutti I cittadini, un impegno di chiarezza su alcune questioni di principio, questioni che chiamerei di lealtà repubblicana».

Ma il Cavaliere non ci sta, e da Vicenza ha replicato: «Solo chi ha scarsa dimestichezza con le procedure e le regole costituzionali dimentica che il presidente del Consiglio della Repubblica Italiana giura fedeltà alla Costituzione nelle mani del capo dello Stato. E io – ricorda Berlusconi a Veltroni – ho giurato per ben tre volte davanti a due presidenti della Repubblica. E sarò onorato di giurare per la quarta davanti all’attuale presidente»

Così la replica del leader del Pdl a Veltroni che, presa carte e penna, aveva scritto all’eterno rivale della sinistra per chiedergli di firmare questa volta, invece che un contratto con gli italiani, un gentleman agreement in difesa delle istituzioni e dei principi della «convivenza civile», chiunque vinca le elezioni.

«Non penso ovviamente – aveva scritto il leader del Pd rintuzzando sul nascere I malpensanti “inciucisti” – agli aspetti legati ai nostri programmi di governo. Questi sono, e devono essere, distinti e alternativi, lasciati al libero confronto politico, come avviene nelle grandi democrazie” perchè «chi guadagnerà un solo voto in più” prosegue «avrà il compito e l’onore di governare l’Italia, sulla base proprio del suo programma».

Il leader del Loft aveva inceve chiesto al Cavaliere se fosse disposto a «garantire formalmente e in modo vincolante che lo schieramento da lei guidato, quale che sia il suo futuro ruolo, di opposizione o di maggioranza, non verrà mai meno in alcun modo e rispetterà sempre con convinzione questi quattro fondamentali principi» e cioè difesa dell’unità nazionale; il rifiuto di ogni forma di violenza; la fedeltà ai principi contenuti nella prima parte della nostra Costituzione; il riconoscimento e il rispetto della nostra storia, della nostra identità nazionale e dei suoi simboli, «a cominciare dal tricolore e dall’inno di Mameli».

Ma Berlusconi non ci sta e cestina idealmente la missiva del rivale definendola «altro effetto speciale» irricevibile in quanto a parlare di fedelà ai principi repubblicani è «l’erede del partito comunista». «Solo chi ha scarsa dimestichezza
con le procedure e le regole costituzionali democratiche – chiude il leader del PdL – dimentica che il presidente del Consiglio della Repubblica
Italiana giura fedeltà alla Costituzione nelle mani del capo dello Stato».

E infine rincara la dose: «non ha alcun titolo per dare patenti di lealtà repubblicana l’erede di un partito, quello comunista, che predicava da sempre la lotta di classe ed era finanziato da un paese nemico dell’Italia e dei suoi alleati».