Il 5 per mille nasce da una proposta dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà e dall’iniziativa del ministro Giulio Tremonti. Senza la sensibilità e la disponibilità a recepirlo dell’allora ministro delle Finanze, nulla si sarebbe potuto fare. Il principio ispiratore, su cui ha incentrato tutto il lavoro l’Intergruppo parlamentare, consiste nel fatto che la sussidiarietà non è solo un’ispirazione intellettuale, una concezione intellettuale dello Stato, della realtà e della politica, ma determina una modalità diversa di costruzione del sistema istituzionale del paese. Soprattutto delle modalità con cui si pensa alle questioni strutturali del nostro paese, penso in particolare al fisco. Si tratta della declinazione del principio di sussidiarietà anche in materia fiscale. Ciò significa che le risorse che il cittadino dà, le tasse, appartengono all’individuo stesso e sono messe a disposizione della collettività per rispondere ai bisogni concreti che si individuano nelle comunità.
Il 5 per mille rappresenta la possibilità di libera scelta da parte del cittadino di come poter spendere e destinare, senza tassazione aggiuntiva, una quota di queste risorse. La grande rivoluzione del 5 per mille è la possibilità di indicare, direttamente da parte del cittadino, qual è l’ente che possa ricevere un finanziamento diretto. Il 5 per mille non avrebbe questa portata rivoluzionaria se si togliesse la possibilità di libera scelta per il cittadino, quindi il poter indicare direttamente a chi destinare la tassa, e soprattutto se gli si apponesse un vincolo ad un progetto. Il cittadino non sceglie di destinare quei soldi per un progetto futuro, ma per un’attività che già viene svolta dall’ente, di cui conosce l’efficienza nella risposta a un bisogno.
L’Intergruppo, vedendo la collaborazione tra maggioranza e opposizione, ha giocato un ruolo di sostegno prima all’azione del ministro Tremonti, in seguito di pressione pesantissima sul governo Prodi perché venisse reinserito il 5 per mille. La Finanziaria 2007 non lo aveva previsto. Ed è stato introdotto solo grazie a un emendamento, spinto e suggerito dall’Intergruppo, fatto proprio in seguito – con il maxiemendamento – dal governo. Devo dire che in quel frangente un ruolo importante è stato svolto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Letta, mentre il ministro alla Solidarietà sociale Ferrero aveva di per sé ostacolato l’inserimento del 5 per mille perchè non ne condivideva l’impostazione. Nella Finanziaria successiva, si era dovuto prendere atto del grande successo che il 5 per mille aveva ottenuto; tutta la battaglia è stata nella copertura finanziaria, perchè una volta inserito il 5 per mille il problema era proprio quello della mancanza di copertura. Erano previsti finanziamenti per il 5 per mille 2007, ma mancavano per il 5 per mille 2008. Abbiamo dovuto quindi lavorare, affinché questi potesse essere inseriti, con una pressione politica da parte di tutti gli aderenti dell’Intergruppo.
In seguito si è cercato di fare un battaglia, perchè l’istituto fosse stabilizzato: c’era stato un emendamento dell’Intergruppo parlamentare che aveva proposto di rendere la tassa non più legata alla finanziaria, ma non siamo riusciti perché il governo ha rifiutato questa proposta.
Il primo controllore della qualità è la persona che destina i propri soldi, essendo il 5 per mille un esercizio della libertà dell’individuo. La persona controlla certamente meglio dello Stato. Anche perchè con quale criterio lo Stato controlla se uno sia degno di ricevere il 5 per mille? Se corrisponde ai canoni che per legge lo Stato definisce, o se risponde all’interesse collettivo, quindi al bisogno? Seconda questione: il vero controllo che lo Stato deve fare è sui bilanci delle associazioni che ricevono le risorse. Non su come vengono spese le risorse destinate, ma sui bilanci. Ogni associazione nel momento in cui si accredita (c’è anche una fase di accreditamento: cioè prima le associazioni si iscrivono secondo le categorie previste dalla legge, che peraltro sono state ristrette, e invece, secondo me, bisognerebbe allargarle, almeno alle fondazioni); nel momento in cui ritiene di dover ricevere un contributo dei cittadini, è giusto che i suoi bilanci siano trasparenti. Lo Stato può controllare il bilancio di un ente che, ricevendo delle risorse, deve dimostrare nei suoi conti come queste vengono gestite. Terzo aspetto, fonte di discussione tra il governo e il parlamento: lo Stato non deve imporre regole più rigide, come l’obbligo di presentazione di un progetto. Questo sarebbe un tradimento della filosofia del 5 per mille. È di nuovo una centralizzazione che ha paura della libertà: la libertà è una risorsa, non è un male per lo Stato.
L’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà ha dimostrato che questo non è solo un tema bipartisan, ma una declinazione del concetto “la politica al servizio del bene comune”. Questa è una sfida che riguarda tutti, non solo il centrodestra o il centrosinistra. In questo momento vedo una differenza sostanziale: nel programma del Pdl è stato esplicitamente previsto il 5 per mille, nel programma del Pd non mi sembra sia previsto. Io non posso che vedere con favore le dichiarazioni di Veltroni, perché vuol dire che ora questa battaglia diventa una lotta da parte non solo di alcuni amici del Pd che l’anno sostenuta, ma anche del leader della coalizione. Presenteremo, se vincerà il Pdl, la proposta del 5 per mille: vorrà dire che sarà uno di quei temi approvati a maggioranza assoluta dalla Camera dei deputati. Io non ho mai avuto dubbi che il 5 per mille fosse una proposta bipartisan, nel senso di proposta che declinasse una concezione di servire il bene comune. Ho avuto un po’ di dubbi, purtroppo, sull’opera dei ministri che si sono succeduti dopo Tremonti e in particolare sull’opera dei funzionari dello Stato. Non è un caso che ancora oggi stiamo aspettando la distribuzione delle prime risorse.