“Semplificare per crescere” è lo slogan del programma di delegificazione lanciato dal Pd. Che ne pensa? Cosa propone?

Sono affermazioni ridicole quelle di Veltroni. Intanto è aperta una delega prodotta dalla quarta legge di semplificazione varata nel 2005 per la ripulitura del grande sedimento normativo che si è depositato prima dell’avvento delle Regioni nel 1970. Il gruppo di lavoro organizzato in relazione a questa delega ha già individuato ben 7.500 leggi che domani mattina potrebbero essere cancellate e che il governo Prodi non ha provveduto a cancellare, cosa che noi invece faremo. Questo intervento avviene sul vecchio stock dei deputati.



La proposta di Veltroni prevede l’obbligo per le Regioni di provvedere a delegificare entro la fine del 2010 tutte le leggi regionali entro un certo numero di testi unici. In caso contrario verrebbe istituito un commissario straordinario che provvederebbe, non si sa bene con quale criterio, a tagliare di persona tutti questi interventi per farli rientrare nell’ordine dei 100 testi unici.



Mi faccia fare una considerazione di carattere generale, perchè non sono le tecnicalità a risolvere il problema. La semplificazione normativa deve avere un presupposto politico-culturale, cioè quello di un maggiore favore nei confronti della persona e dell’impresa. Se c’è una logica di vera sussidiarietà e di favore, di fiducia nei confronti della persona, è possibile disboscare la grande complessità normativa, altrimenti se ne toglie un pezzetto e se ne produce il giorno dopo un pezzo ancora più grosso, cosa che è accaduta negli anni del governo Prodi, quando nell’arco di soli due anni si è spaventosamente incrementata la complessità normativa. Noi che muoviamo da una cultura della sussidiarietà, da una fiducia nella persona fisica come nella persona giuridica, siamo in grado di resistere alle emozioni che possono suscitare determinate patologie e che normalmente, incoraggiate da un’informazione spesso spregiudicata, portano il legislatore a dare un giro di vite generalizzato. In questo modo si vincolano i comportamenti tanto delle persone quanto delle imprese in rapporto al prodursi di patologie, talora estreme, e illudendosi che così se ne possa evitare la formazione; ciò che invece si ottiene è principalmente il fatto di aggravare la complessità normativa.



Se domani fosse al governo, sarebbe favorevole ad un clima di intese condivise per rimettere mano alla Costituzione? Come modificherebbe il titolo V della Costituzione?

Io credo che occorra un governo di autonomia parlamentare e di responsabilità: sono molto contrario all’idea di una larga intesa per il governo dei processi economici e sociali. Ma credo anche che la riforma costituzionale e in parallelo il federalismo fiscale debbano essere prodotti quantomeno attraverso la ricerca di un dialogo con l’altra coalizione o col complesso delle forze in parlamento. Dovremmo seguire fondamentalmente tre binari: politiche urgenti per rimettere in moto la crescita; federalismo fiscale, con legge ordinaria; e come terzo punto, che è inesorabilmente il più complesso, mettere mano a una riforma costituzionale. Il federalismo fiscale si può fare a costituzione costante; l’importante è abbandonare l’idea della spesa storica, tanto per le regioni quanto per i comuni, e costituirlo con il criterio dei costi standard.

Come sposare federalismo fiscale e – date le grandi sperequazioni territoriali tipiche del territorio italiano – logica di solidarietà? Cosa pensa dell’attuale sistema di perequazione?

La solidarietà si deve accompagnare con la responsabilità, nel senso che vale il detto «aiutati che il ciel t’aiuta»; tutte le regioni devono quindi essere poste in grado di garantire ai cittadini i servizi fondamentali secondo i livelli essenziali delle prestazioni. Garantite queste entrate in rapporto a costi standard per i livelli essenziali delle prestazioni fondamentali, scatta poi la responsabilità: la presenza di sovraccosti deve dare luogo da un lato ad un prelievo aggiuntivo di carattere locale, che deve esporre i governanti locali, e dall’altro, superato una certa soglia e superati alcuni indicatori di bilancio, al fallimento politico degli amministratori. Interviene il commissario, gli amministratori sono rimossi, si ritorna al voto ed essi non sono, in quanto falliti, ricandidabili.

Quindi è questa la modifica rispetto all’attuale sistema, la responsabilità?

In parte la responsabilità di dover ricorrere ad un prelievo aggiuntivo presso i propri cittadini, in presenza di inefficienza gestionale. Ma poiché i cittadini non devono pagare fino in fondo le colpe dei loro amministratori, devono essere loro a venire meno ed essere commissariati, non venendo ricandidati nel momento in cui si torna al voto.

Cosa proporrebbe di rivedere, in materia di competenze concorrenti Stato-regioni?

Non per arroganza ma credo che si debba ripartire – e lo dico perché vedo oggi oggettivamente un consenso maggiore – dalla nostra riforma costituzionale, che da un lato favoriva una robusta organizzazione federale, dall’altro garantiva l’interesse nazionale. Io penso che debba essere l’occasione per semplificare la catena democratica e rimuovere le province. In ogni caso non penso ad un federalismo su base plurima, com’è assurdamente previsto dalla prima riforma del centro-sinistra. Noi organizziamo un federalismo dall’alto con un processo enormemente semplificato, mentre è assurdo organizzarlo dall’alto a base plurima, mettendo sullo stesso piano comuni, province, regioni. Ma io credo che il federalismo debba essere a base regionale, che le province non abbiano senso e debbano essere cancellate e che i comuni debbano essere indotti ad organizzarsi attraverso forme associative secondo ottimali bacini di utenza dei servizi, in modo da costruire un reticolo ordinato di queste gestioni sovra-comunali. Dovremmo fondere i comuni, ma questo non credo sia possibile, e forse nemmeno giusto, ma lo stesso obiettivo si può raggiungere inducendo queste aggregazioni ordinate secondo bacini che possono corrispondere largamente a quelli dei servizi sociosanitari.

In quali materie le regioni dovrebbero essere competenti in maniera autonoma, sia per quanto riguarda la possibilità di fare leggi che di amministrare?

Io credo che occorra un federalismo variabile: le regioni non sono tutte uguali, ciascuna deve poter raggiungere una propria specialità. Comunque ci sono competenze che l’attuale Titolo V assegna alle regioni, come l’energia e le infrastrutture, che devono invece tornare ad una dimensione nazionale.

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