Gli ultimi fatti sembrano mostrare che Hezbollah sta diventando sempre più forte in Libano. Questo è forse il segno di una crescente influenza dell’Iran sul paese?

L’Iran continua a godere di una forte influenza in Libano, soprattutto dopo che i siriani hanno “mollato” il paese nel 2005, ed è molto più presente rispetto ad altri attori regionali. Tuttavia, penso che gli ultimi fatti abbiano diminuito questa influenza, proprio perché Hezbollah ha cominciato a occuparsi troppo della politica interna libanese.
In passato, almeno fino a due anni fa, c’era un forte consenso intorno a Hezbollah: i libanesi avevano accettato il fatto che continuasse ad armarsi in nome della liberazione dei territori occupati da Israele o per difendere il paese da eventuali aggressioni esterne. Ma ultimamente Hezbollah si è perso nei “meandri” della politica interna, che sono abbastanza “sporchi” e questo ha danneggiato indirettamente anche l’Iran.
L’offensiva dell’altro giorno nei quartieri di Beirut danneggerà ulteriormente Hezbollah agli occhi degli arabi e dei musulmani in generale, che sono al 90% sunniti e che hanno visto quest’atto come una vera e propria ingerenza nella politica interna.



La crisi libanese è risolvibile dall’interno o è necessario un forte intervento di Onu, Stati uniti o della comunità internazionale in generale?

La situazione non può essere risolta solo dall’interno, e lo si vede nella circostanza critica che riguarda la carica presidenziale: da oltre 5 mesi siamo senza presidente. Questo riflette, almeno in parte, il conflitto in atto che oppone Arabia Saudita ed Egitto da una parte e Siria e Iran dall’altra, e nel quale i libanesi si sentono presi in trappola.
Purtroppo l’Onu, la Francia in particolare, ha già tentato una mediazione tra le parti per arrivare a una soluzione, ma senza esito. Da un paio di mesi è in atto la missione della Lega Araba, il cui Segretario generale, Amr Moussa, non è ancora riuscito a sbloccare la situazione, che nel frattempo si è fatta più ingarbugliata. Questo non deve portare alla conclusione che i libanesi devono essere lasciati soli per risolvere la situazione, ma la comunità internazionale deve prendere atto che in Libano nessuna parte (proprio nessuna) può imporre la propria opinione sull’altra. Bisogna quindi cercare di costruire un consenso tra i libanesi verso un unico obiettivo, al di là dei conflitti regionali in atto. Questo obiettivo credo debba essere l’elezione del presidente.
Non bisogna aspettare che Iran e Arabia Saudita facciano la pace per potere eleggere un presidente in Libano. Bisogna fare pressioni sul parlamento, che deve essere convocato per arrivare a questa elezione. Lo sblocco di questa carica, infatti, porterà allo sblocco di tutte le istituzioni, perché si formerà un nuovo governo, non importa se di unità nazionale o meno, e potrà riprendere il lavoro della Camera.
Se non arriviamo a questo, continueremo a trovarci in un vicolo cieco e le cose non potranno che peggiorare, perché la tensione politica si trasforma facilmente in scontri di piazza e la situazione può sfuggire a qualsiasi tipo di controllo.



Secondo Lei il contingente Unifil sta svolgendo bene il suo ruolo o bisognerebbe cambiare le regole d’ingaggio per renderne più incisiva la presenza?

Sono stato recentemente in Libano e ho visitato diversi contingenti e penso che il lavoro che stanno facendo sia utile.
Le regole d’ingaggio possono anche essere cambiate, ma bisogna capire in quale direzione. Si potrebbe pensare di fare in modo di avere un maggior controllo sul territorio, sui movimenti degli Hezbollah, sull’arrivo delle armi. Ma bisogna stare attenti a non mettere a rischio la vita di questi militari, perché se saranno costretti a trincerarsi nei loro presidi, la loro presenza diventerà inutile.
Credo però che un cambiamento vada fatto, perché da quando il contingente Unifil si è stanziato, Israele ha continuato a sorvolare il territorio libanese, suscitando le proteste dello Stato libanese e di Hezbollah, che da parte sua ha continuato ad armarsi attraverso il confine siriano. Il fatto è che questo contingente non può far altro che registrare e denunciare tali fatti alle Nazioni Unite. Quindi, non ha i mezzi per poter svolgere un grande funzione, ma sul territorio che ha sotto controllo ha fatto tutto quello che doveva fare.
Comunque, sulla possibilità di cambiare le regole di ingaggio, sono d’accordo con quanto ha detto il neo-ministro Frattini: sentiamo i militari che sono lì cosa ne pensano; se c’è qualcosa da cambiare verrà proposto all’Onu, cui spetta la decisione.



Quale ruolo possono giocare i cristiani per risolvere la crisi?

Se fossero tutti uniti intorno a una leadership, politica perlomeno, potrebbero giocare il loro tradizionale ruolo di mediatori, di pacificatori, tra le differenti comunità, che hanno già ricoperto in passato. Attualmente, infatti, i cristiani, dal punto di vista politico, sono divisi in due: ce ne sono alcuni che hanno un “patto d’intesa” con Hezbollah o il movimento Amal, senza per questo essere filo-siriani o filo-iraniani, e che sono simpatizzanti del generale Aoun; ve ne sono poi altri che stanno con “Forze libanesi” o il partito di Gemayel.
Sono contento che per il momento i cristiani non si siano lasciati trascinare negli scontri degli ultimi giorni, e spero che rimangano fuori da questa “bega” che è completamente assurda. Ho comunque qualche timore, perché ho visto molti giovani cristiani alle manifestazioni politiche: loro non hanno mai assistito veramente alla guerra e sembrano tentati di riprendere questa “avventura”. Questo sinceramente non lascia presagire nulla di buono.
Non bisogna poi dimenticare che, a differenza di quanto avviene nelle zone musulmane, dove si sa in quale parte ci sono gli sciiti e in quale i sunniti, nelle zone cristiane è possibile che nella stessa via, nello stesso palazzo, vi siano diverse affiliazioni politiche. Questo, in caso di un conflitto armato, potrebbe comportare situazioni gravissime.

È possibile in qualche modo superare questa divisione fra cristiani?

Il Patriarca maronita ha provato diverse volte a riunire i cristiani, almeno sulle cose comuni, ma finora non vi è riuscito. Ma attualmente è in viaggio all’estero e non si sa quando tornerà, perché l’aeroporto di Beirut è chiuso.
Ognuno pensa, in buona fede, di fare la politica giusta, ma non ci si rende conto che sul terreno queste divergenze politiche, quando si arriva all’insulto o all’accusa di tradimento reciproca, può far sfociare la tensione in scontri nelle piazze e nelle strade.
Spero che in questa circostanza particolare che sta vivendo il Libano si ritrovi il buon senso. Spero questi cristiani si rendano conto che il bene della nazione viene prima di tutti gli interessi particolari.